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LA PUNTEGGIATURA

Opera di Silvia Farina

Un brano per accompagnare la lettura:

«Ciao, io sono Carlo». Mi porge la mano con un sorriso radioso. Allungo la mia, un po’ spiazzata, mormorando il mio nome mentre lui continua: «Ti avevano detto di me, vero?». No, in effetti nessuno lo aveva fatto, ma, del resto, se sono ormai dodici mesi che si aspettava l’arrivo del nuovo amministratore delegato e dall’ufficio dove è riunita la Direzione spunta un uomo…
E che uomo! Sui sessant’anni, fisico asciutto e tonico, così alto che per guardarlo negli occhi devo rovesciare la testa, abbigliamento business formal sapientemente sdrammatizzato da una cravatta rosa con piccoli disegni. Ma quello che colpisce e conquista è il sorriso. Ampio e accattivante, dona al viso un’espressione amichevole e partecipe, mentre gli occhi ti avvolgono in uno sguardo che ti fa sentire importante.
Comincio da subito a lavorare con lui e scopro che è appena rientrato in Italia dopo un’esperienza ventennale nella filiale americana di un’importante azienda farmaceutica. Evidentemente non pensava di tornare a vivere qui, dato che ha lasciato scadere tessera sanitaria, patente e carta d’identità. Il rinnovo di tutti questi documenti diventa la mia attività primaria. Mi muovo velocemente e, facendo leva sulle persone giuste e sul nome dell’Azienda, in poco tempo i documenti vengono aggiornati o riemessi senza che lui si sia mai dovuto muovere dall’ufficio.
Le settimane passano, ma le richieste non calano e mi rendo conto che in tanti anni di lavoro come assistente di alta direzione non mi era mai capitato un capo così esigente e bisognoso di aiuto. Ma il mio lavoro mi piace e lui dice sempre per favore. Ma chiede tanto.
L’ufficio che gli è stato destinato dal Presidente non lo soddisfa, lo trova poco accogliente e funzionale. «Come posso lavorare in un ufficio stile anni Settanta?», mi chiede accigliato una mattina mentre sorseggia la sua San Pellegrino frizzante, rigorosamente in bicchiere di vetro, la sua unica reale esigenza, aveva sostenuto il primo giorno.
Tornando al problema ufficio, elaboro alcune proposte che lui accetta entusiasta: «Brava Mariangela! Ti do carta bianca», mi dice con il suo solito favoloso sorriso.
Chiamo un mobiliere che conosco, lo supplico, facendogli capire che il costo non sarà un problema. Ci accordiamo per vederci in Azienda il sabato, mi propone alcune modifiche non sostanziali, ma sufficienti per ringiovanire l’intero mobilio, e in soli cinque giorni.
Accetto immediatamente. Carlo sarebbe stato assente tutta la settimana e al rientro avrebbe trovato quella spruzzata di nuovo che desiderava.
«Bello, bello! Come hai fatto in così poco tempo?», esclama entusiasta il lunedì successivo. Mi sono fatta il mazzo, sarebbe stata la risposta corretta, ma, essendo una signora, mi limito a sorridere, soddisfatta comunque del lavoro svolto e del complimento.
«Adesso però…» esita mentre a me vengono i sudori freddi, «Non credi ci voglia anche un po’ di verde?»
«Un po’ quanto?», chiedo, con una voce che comincia a dare segni di sconforto.
«Mah, delle ricadenti che scendano dalle librerie, una pianta abbastanza importante in quell’angolo laggiù, che è vuoto e sta così male…»
«Va bene, parlo col nostro vivaista» e mi alzo per andarmene, nella speranza di chiudere l’argomento.
«Vorrei anche qualcosa di fiorito, una macchia di colore intendo», si interrompe un attimo, le labbra strette, come a inseguire un’immagine nella mente, «Sai, per rompere la monotonia del verde…» conclude.
Annuisco stremata e torno nel mio ufficio. Mi siedo, sospiro, mi dondolo sulla sedia girevole, sospiro ancora, seleziono il numero del vivaio e chiamo.
Due giorni dopo, l’ufficio sembra la pubblicità di una rivista di interni business. Il grosso tavolo in noce mostra raffinati dettagli cromatici ripresi dalle orchidee che occhieggiano dal tavolino di cristallo, due morbidi e frondosi pothos scendono dalle librerie e un’immensa kenzia vivacizza il famoso angolo vuoto.
Ma il giorno successivo, purtroppo, è l’ultimo del mese e l’elenco delle spese effettuate arriva inesorabile al responsabile finanziario. Paolo è una persona giovane, simpatica e molto capace, non priva di una certa ironia. Che quella mattina, però, gli difetta quando, impostando le cifre su un semplicissimo foglio di Excel, compare un totale che lo fa sobbalzare e urlare il mio nome per il corridoio. Mi precipito, parlo, spiego, ma la sfuriata me la prendo tutta.
Dai, non può mai andare bene a tutti, mi consolo uscendo dal suo ufficio, dopo dieci spiacevolissimi minuti.
I mesi passano veloci, Carlo è ormai autonomo e si muove sicuro per lo stabilimento, tra ampie falcate e stupefacenti sorrisi. Io vivo come in una bolla, vedo solo lui, lavoro solo per lui e non mi rendo di essere entrata in un mondo parallelo, sconnesso dalla vita aziendale.
Una mattina sto parlando in corridoio con una collega e amica quando passa lui, sorrisone, «ciao ragazze», e prosegue. L’amica mi guarda, con un’espressione beffarda che sul momento mi sfugge.
«È come il capitano di Love Boat, saluta, sorride e il lavoro sporco lo fa fare agli altri» dice, « Le teste hanno già cominciato a cadere» e si avvia lungo il corridoio. Si gira un attimo e prima di sparire, mormora: «Attenta». Rimango congelata, oscillo tra il pensare che l’amica si sbagli e il timore di aver preso una cantonata.
Rientro in ufficio pensierosa.
Appena ho un momento, vado a leggere la sua posta e trovo conferma alle parole della collega. In una mail scrive che le minute delle Riunioni di Direzione non può più farle redigere a me perché non conosco la punteggiatura. E ancora, alla Responsabile Risorse Umane chiede perché, dopo una lunga assenza, io abbia fatto parecchi straordinari. Non so se mi lascia più allucinata la sua domanda o la risposta di lei che, senza alcun pudore, afferma di non saperne il motivo, pur essendo stata informata che si trattava di un problema di salute. Logica vorrebbe che le chiedessi spiegazioni, ma solo ora mi rendo conto che ogni mattina passa ore nell’ufficio di Carlo, sempre a porta chiusa. E che le dimissioni in azienda sono sempre più frequenti.
Passo alcuni giorni di totale spaesamento, lui si comporta sempre educatamente con me, ma comincio a notare una larvata freddezza. Ciò nonostante, da persona semplice quale sono, mi convinco che sono solo sciocchezze e cerco di continuare il mio lavoro serenamente, come sempre. Per questo non mi rendo conto che nel mio ufficio si è aperta una grossa tagliola, una di quelle con i denti di sega, e che la mia scrivania ci sta sopra in precario equilibrio.
Ci vuole solo un piccolo movimento perché questo accada: domando spiegazioni su alcune spese che ha effettuato e che io ritengo non sufficientemente giustificate.
«Se per te sono congruenti, Carlo, le mettiamo», dico. «Poi sentiamo Paolo che dice, ok?» concludo con un sorriso assertivo. Ma mentre esco dall’ufficio continuo a sentire il suo sguardo gelido sulla schiena.
Il giorno dopo è previsto che parta per la Cina, un lungo viaggio per visitare la filiale di Pechino e alcuni grossi clienti. Ma quando tornerà, io non ci sarò più.
La mia collega ci aveva visto giusto, la Responsabile Risorse Disumane mi chiama nel suo ufficio un venerdì, per dirmi che Carlo è talmente scontento del mio lavoro che si trova costretta a spostarmi in Centralino.

Racconto di Maria Angela Maretti
Editing di Elena Sofia Ricci


L’autrice

Maria Angela Maretti è laureata in Lingue, vive in provincia di Modena e divide il suo tempo tra il lavoro in azienda, l’insegnamento in una scuola privata, il volontariato e la scrittura. La sua forma letteraria preferita è il racconto. Suoi racconti sono stati pubblicati su alcune riviste come Spazinclusi, Quaerere e Il Timoniere. È una lettrice onnivora, ama molto la letteratura angloamericana e i gialli. Nel 2023 ha pubblicato con l’amica Emma Avanzi la raccolta di racconti “Il vuoto delle parole”, incentrata sul rapporto spesso conflittuale tra i sessi. Nel 2024 uscirà una sua raccolta di scritti autobiografici, “Tracce di vita”.

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