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Una sintesi alla «lotta per il dominio del doppio uomo» in Petrarca

Fotografia di Manuel Monfredini

Nell’epistola dell’ascesa al monte Ventoso (Familiari VI, I, 1336), Petrarca immortala l’eterno conflitto dell’animo umano tra forze che smentiscono il banale confine tra Bene e Male.

Ad aprire l’età moderna alla letteratura italiana è il ritratto di una scissione tanto innovativa nella sua trascrizione su carta quanto innata e dunque viva da sempre nella specie sapiens: Petrarca scrive il nuovo togliendo il velo ad uno scontro vecchio quanto l’animo umano. Sono le tinte vivide della lotta con se stesso nell’ascesa al monte Ventoso a gettare una luce mai vista su un conflitto in pieno svolgimento, sinceramente irrisolto.

L’impresa della salita – l’autore chiarisce fin da subito – è motivata da un desiderio di gloria: visitare un luogo famoso per la sua altezza, mosso da quell’«ardore giovanile», che non sente ragioni davanti ad alcuna proibizione, ma il cui desiderio «cresceva per quel divieto» [1]. La scalata fisica diviene presto, però, metafora della scalata spirituale che il poeta continuava a raggirare, indugiando su sentieri più piani, sperando di «trovare un più facile accesso», ma non «può essere che un corpo scendendo guadagni in altezza. […] La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto; e stretto, come dicono, è il sentiero che vi conduce. […] Sulla cima è il fine estremo e il termine della via, meta del nostro viaggio»[2].

Le strade che si tracciano per questa meta, però, non seguono un rettilineo, che sia per mollezza dell’uomo o per difficoltà dell’ambiente in cui si marcia: si alzano, scendono, divergono e mutano forma, talvolta inaspettatamente. A dare le coordinate al cammino sono le forze che dividono i pensieri, la cui azione è inoltre influenzata dalle circostanze esterne, indipendenti dalla volontà umana. «Non sono ancora scorsi tre anni da quando quella volontà malvagia e perversa, che tutto mi possedeva e nelle camere del mio cuore regnava senza rivali, cominciò a sentirne un’altra, ribelle e riluttante; e tra l’una e l’altra da un pezzo, e anche oggi, dura faticosa e incerta nel campo dei miei pensieri la lotta per il dominio di quel doppio uomo che è in me» [3].

È un duello quello che si gioca nel cuore del poeta: la passione per i piaceri terreni, per quella stessa gloria che l’ha spinto a sfidare il monte, si oppone alla volontà di vivere in Cristo, dietro l’esempio di Agostino, il santo che prima di lui conobbe lo stesso fascino dei peccati carnali. Non si semplifichi, però, questa lotta in una guerra tra Bene e Male, tra ciò che è vero nell’uomo e ciò che è falso in lui: le due fazioni si dividono il campo di battaglia, senza che né l’una né l’altra venga meno alla natura del poeta. Non c’è distinzione tra giusto e sbagliato che regga quando si tratta di comporre il cammino umano. Vige, piuttosto, una differenza tra una bussola calibrata verso una meta o meno, con strade che per raggiungere il Nord possono cambiare continuamente. È proprio nel variare di queste ultime che si gioca il tragitto di una vita, che si rispecchia tanto nei suoi rettilinei quanto nei suoi tornanti. Un percorso virtuoso non potrà mai essere dato dalle sole strade lineari, censurando indugi e dilungamenti, ma da una ciclica taratura dell’orientamento.

Se l’uomo si identifica, dunque, nel tragitto che ha concorso a costruire, allora la sua natura è nelle strade dritte tanto quanto in quelle più contorte e la distinzione tra queste due tipologie non potrà più sussistere in maniera palese: non ci potrà essere una via interamente “cattiva”, quanto una completamente “buona”. Petrarca scatta una modernissima fotografia di questa scissione dello spirito dai contorni offuscati e contradditori: «molto ancora rimane in me di molesto e d’incerto. Non amo più ciò che solevo amare; dirò meglio: l’amo, ma meno; e anche così mentisco: l’amo, ma con più vergogna e tristezza; ecco che finalmente ho detto la verità. Poiché è proprio così: amo ciò che vorrei non amare, anzi, che vorrei odiare» [4].

Il poeta, ammettendo di avvertire in cuore anche ciò che non vorrebbe provare, accoglie la sua natura nella sua innata contradditorietà, senza venir meno in alcuna parte a quello che è, pur avendo ben chiaro l’obbiettivo a cui tende, che inoltre affida alle preghiere del suo destinatario: «vorrei che tu pregassi Iddio che, [i miei pensieri] da vaghi e incerti come sono, un giorno abbiano posa […] e si volgano al fine a ciò che è unico, buono, vero e sicuro» [5]. Si dica, dunque, pure che tra le due forze sfidanti, il poeta è in due di due e che alla meta ambita potrà giungere solo attraverso la conversione dell’intero cammino che queste hanno tracciato.

Alice Dusso

[1] F. Petrarca, A Dionigi da Borgo San Sepolcro, dell’Ordine di sant’Agostino, professore della Sacra pagina; intorno ai propri affanni,Familiari IV, I, in G. Contini, Letteratura italiana delle origini, BUR Rizzoli, Milano 2013, p. 809.
[2] Ibidem.
[3] Ibi, p. 811.
[4] Ibi, p. 810.
[5] Ibi, p. 813.

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