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La Vergine velata di Giovanni Strazza e il valore simbolico della scultura come binomio apparenza e realtà

Il tema del “velo” affonda le proprie radici nell’arte greca e romana, torna in voga a partire dal XVIII secolo e diviene molto caro agli scultori dell’Ottocento. Una delle opere che affronta questa tematica è La vergine velata dello scultore lombardo Giovanni Strazza, considerata un esempio di scultura realistica.

Fotografia di Johnathan Kaufman

Strazza, nato a Milano, si era formato a Roma alla scuola di Pietro Tenerani, d’origine carrarese, assurto alla fama internazionale come massimo interprete del “purismo” (ritorno all’arte del Quattrocento) nella scultura italiana. E pertanto anche nell’opera di Strazza è riconoscibile, oltre a quella neoclassica, la lezione purista, ma nella Vergine velata l’artista si esprime con assoluta libertà stilistica, dando vita a un’opera estremamente originale.

La vergine velata è stata scolpita a metà dell’Ottocento e per questo, da alcuni, è stata vista come una metafora della nascente Unità d’Italia. Inoltre, dati gli anni di realizzazione, si può ipotizzare che l’artista abbia preso come modello il famoso Cristo velato di Giuseppe Sanmartino conservato a Napoli nella cappella di Sansevero. Altri busti velati sono prodotti in quegli anni, in particolare la Dama Velata di Pietro Rossi e la Vergine velata di Raffaele Monti.

Il materiale usato è il marmo di Carrara, bianco, ma in certi punti con effetto traslucido; la maestria dell’artista sta nel rendere l’opera, nonostante la durezza della pietra, flessibile e fluida. Il soggetto, sia pur nella ripetitività rispetto a un tema diffuso in campo scultoreo dal XVIII secolo, riprende la tradizione che vuole infatti il marmo come materiale perfetto per opere d’arte che rappresentano dettagli intricati, come particolarità anatomiche, ma anche i tessuti e le stoffe.

Il busto di Strazza raffigura una Vergine Maria che, per la posa che assume, sembra riflettere sul dogma dell’Immacolata concezione e sul mistero del suo stesso ruolo. La scultura è di grande impatto realistico, ma, allo stesso tempo, evoca un senso di turbamento che allude al mistero della maternità, alle doti di umiltà e obbedienza della Vergine, consapevole, eppure in qualche modo ignara, del suo ruolo nella storia di Gesù e in quella della umanità. 

Il volto è leggermente inclinato, gli occhi appena socchiusi e l’atteggiamento è assorto e pensoso; esso rinvia, come già detto, al mistero della sua intima comunione con Dio, e, nello stesso tempo, in qualche modo anticipa la consapevolezza del sacrificio che attende Cristo, suo figlio, e che lei vive con piena condivisione, anche sotto la Croce e poi dopo la stessa Resurrezione del Figlio e il termine della sua esistenza terrena. Riecheggia nella mente di chi osserva l’opera il Vangelo di Luca.

Il significato più profondo dell’opera sta però nel suo descrivere il rapporto apparenza-realtà. Mai come in questo lavoro l’artista pone l’accento su quello che non si vede più che su quello che appare. Gli effetti di drappeggio, la cura dei particolari, la precisione della descrizione dei dettagli non sono che l’elemento notato a primo impatto dallo spettatore. Ma questi è profondamente attratto dal pensiero di quello che c’è dietro il velo, dalla realtà astratta e concettuale che contraddistingue la storia della protagonista, e che il velo nasconde ma richiama.

Curatissimi i particolari, in alcuni casi sono assai simili al modello naturale come nel caso della treccia della Vergine. Il fascino dell’opera sta però indubbiamente in quel velo sottile che lo scultore modella per nascondere, ma non troppo, il volto della Madonna.

Questa è la particolarità che rappresenta un sudario tagliato dallo stesso pezzo di marmo della protagonista in cui viso e testa sembrano un’unica cosa; eppure, il velo è quasi trasparente e lascia intravedere i lineamenti dolci e malinconici della donna.

Secondo il filosofo Emanuele Franz, il velo, in questo preciso caso, rappresenta anche una forma di rispetto, la massima che si decida di attribuire: è il simbolo del superamento dell’apparenza e la considerazione della donna come anima nascosta nel corpo visibile.

Marta Casuccio

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