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Sfrutta(menti)

Il tema dello sfruttamento, per come l’abbiamo inteso questo mese, è legato soprattutto, anche se non solamente, al mondo del lavoro. Per ragioni anagrafiche questo tema ci tocca profondamente e abbiamo deciso di esprimere il nostro punto di vista. Lo spunto iniziale è stato lo scandalo del Qatar, con il gran numero di operaiз mortз durante la costruzione degli stadi per i mondiali da poco conclusi. A rendere più inquietante la tragedia di queste morti – subito messe sotto il tappeto in vista di interessi economici mastodontici – è la mancanza di dati certi sul numero dellз cadutз, che a seconda della fonte variano da poche centinaia (!!) a oltre 6.000. Un qualunque paese di provincia italiano spopolato per la costruzione di ecomostri destinati ad essere sotto i riflettori del mondo per un solo mese, prima di essere dimenticati per sempre.

Ma il Qatar è un mondo lontano, che forse non comprendiamo veramente e che certo non abbiamo l’intenzione di indagare con fare manicheo e perbenista: le morti ci sono, ma non parliamo come se qui non ce ne fosse mai nessuna. Il tema delle morti bianche, che in Italia fa sempre grande scalpore sui vari media, tranne poi essere presto dimenticato un attimo dopo lo scoop, è una piaga gravissima per un paese che si professa sviluppato. Anche qui però, proprio come in Qatar, le morti sono la punta dell’iceberg, la tragedia eccezionale nella grande regola dello sfruttamento. Perché la verità è che lo sfruttamento nel mondo del lavoro nostrano è un fatto culturale, ed è inutile indignarsi o levare gli scudi solo a tragedia avvenuta.

Le paghe da fame e le condizioni pessime di lavoro sono la realtà quotidiana di moltissimз lavoratorз, e sono anche i punti più importanti su cui intervenire per evitare che le nostre fabbriche sfornino salme in stile qatariota. Perché diciamo che è un fatto culturale? Certamente l’argomento è ammantato sempre di grande retorica, sia da parte dellз sfruttatз che da quello dellз sfruttatorз, ma alcune pecche sono talmente comuni che non possono che essere di sistema.

Lo sfruttamento è sapere che le grandi multinazionali propongono allз loro dipendenti contratti da quattro giorni lavorativi (per umanità? O per un più terzomilleniesco coscienza-washing?), pensare di conseguenza di vivere in un paese civile, moderno, che finalmente guarda alle necessità di tuttз, e poi trovarsi a lavorare in nero, senza ferie, sotto un capo che ha la metà dei tuoi titoli e il doppio dei tuoi anni.
Lo sfruttamento è uscire dal proprio percorso di studi universitario e pensare, nella maggior parte dei casi, ma sì, per un certo periodo sicuramente posso farmi sottopagare, posso fare uno stage da sei mesi dieci ore al giorno e quattrocento euro in buoni benzina.
Lo sfruttamento è non essere messi in condizione di lavorare senza doversi preoccupare della propria sicurezza.
Lo sfruttamento è un fatto culturale perché non siamo capaci di usare le risorse, preservarle e conviverci: sappiamo solo sfruttarle fino all’esaurimento in una corsa matta verso chissà poi che cosa.

Forse la retorica ha colpito anche il nostro discorso, perché è difficile parlare di sfruttamento senza passare per idealistз, fricchettonз o anche solo esseri umani. Non vogliamo nemmeno citare la parola merito (non in ultimo perché è tanto cara all’attuale governo), perché gli scenari che si aprono sono infiniti e polemici e il lapidario Quis custodiet ipsos custodes? è dietro l’angolo. Una cosa però ve la vogliamo chiedere: guardate chi avete davanti, forse vi accorgerete che è un essere umano come voi.

La redazione

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