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L’uomo e la vastità

Fotografia di Filippo Ilderico

Attraverso l’analisi del dipinto Monaco in riva al mare (1808-1810) dell’artista tedesco Caspar David Friedrich si evidenzia la piccolezza dell’uomo in confronto alla vastità evocata dall’oceano e dalla natura stessa.

Il pittore e incisore C. D. Friedrich (1774-1840), la cui fama venne riconosciuta solo agli inizi del XX secolo, amava riprodurre nelle proprie opere fascinosi tramonti, campagne assolate e soprattutto distese marine. Una di tali opere rappresenta un uomo vestito di nero, un monaco che Albert Boime considera essere l’autore stesso in una delle sue passeggiate a Rugen. Questi si trova su una scogliera che sembra situata a strapiombo sul mare. Osservando questa tela salta subito all’occhio l’immensità del paesaggio, del mare, che riproduce con le sue onde i moti del cielo, ricco di nuvole fumose: è proprio la natura la vera protagonista e, con la sua estensione, occupa il quadro quasi per intero.

Il sentimento che pervade lo spettatore è un sentimento di vuoto, di inquietudine, emozioni che emergono alla vista dello spettacolo dell’immensità che si staglia al di là dell’uomo. 

Si tratta infatti di un tipico esempio di quadro romantico, che affronta l’infinito: non permette all’occhio di soffermarsi in un unico punto, bensì fa sì che questo si perda all’interno della tela. Sono le stesse sensazioni che ci si immagina che abbia il monaco, il quale è rappresentato di spalle. Questi è colto probabilmente da una gran malinconia, dal senso di sgomento provocato dalla veduta, al contempo bella e spaventosa, una manifestazione del cosiddetto sublime, tema molto caro ai romantici. Il monaco, isolato nella sua posizione sull’altura, è piccolissimo e molto poco evidente a causa della somiglianza dei colori fra la sua figura e lo sfondo da cui è circondato: si ha infatti una fascia di colori chiara nella parte inferiore del dipinto, una dai colori più cupi nella quale la figura è immersa, ed una azzurra, irraggiungibile, nella parte superiore, in cui è raffigurato il cielo notturno (che in un primo momento l’artista aveva dipinto come diurno). 

L’uomo prova verso il mare una sorta di “timore reverenziale”, che lo spinge alla meditazione, caratteristica quasi costante di questo elemento paesaggistico.

Per citare H. Von Kleist: «Se fosse possibile dipingere questo paesaggio col suo gesso e con la sua acqua, allora, credo, sarebbe possibile far ululare le volpi e i lupi: che è senza dubbio la lode più alta che si possa fare a questo tipo di vedutismo» [1].

Marta Casuccio


[1] Empfindungen von Friedrichs Seelandschaft, in “Berlin Abendblätter”, H. Von Kleist, 1810.

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