Scherzi del destino è un racconto di Alice Munro contenuto nella raccolta In fuga. Il racconto ben evidenzia quanto il destino possa giocare brutti scherzi, ma l’epilogo della vicenda di Robin, la protagonista, mostra la capacità umana di accettare, nonostante tutto, i cambiamenti della propria vita, siano essi positivi o negativi.
Alice Munro è forse la scrittrice di racconti contemporanea più nota a livello mondiale. Vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2013, Munro inizia a farsi conoscere dal pubblico con la raccolta In fuga, pubblicata nel 2004 da McClelland and Stewart e in traduzione dalla casa editrice Einaudi nello stesso anno.
Il penultimo racconto di questa raccolta si intitola Scherzi del destino e ha come protagonista una giovane donna di nome Robin. Una delle sue caratteristiche principali è l’evidente intertesto shakespeariano: numerosi sono i riferimenti espliciti alle opere di Shakespeare quali Re Lear, Antonio e Cleopatra, Come vi piace. Inoltre, occorre sottolineare che il nome della protagonista, Robin, è un richiamo al nome di Robin Goodfellow, altro nome del folletto Puck, figura fondamentale nel Sogno di una notte di mezza estate.
Nel racconto emerge una caratteristica di molti personaggi femminili della Munro: la tendenza a immaginare una vita in cui si possano rifrangere le proprie letture, a vivere quindi letterariamente la propria vita, non importa se nella forma della tragedia, della commedia o del romanzo sentimentale. Di grande rilevanza è, inoltre, l’aspetto del teatro, che per Robin è l’accesso ad un mondo più vero e in cui la rappresentazione drammatica riesce a cogliere l’essenziale della vita, allontanandosi dall’effimera e provvisoria quotidianità.
Il mondo del teatro è un mondo desiderabile, l’immersione in una realtà più profonda che non è tanto un’evasione, quanto un inveramento della realtà e della vita tout court. Ecco, quindi, l’importanza del Festival di Stratford, manifestazione a cui Robin presenzia ogni anno. Stratford è anche il luogo in cui Robin può lavorare anche sulla propria identità, arrivando addirittura a perderla, sottolineando proprio il senso identitario che questa giornata assume nei confronti della protagonista. È qui che Robin incontra Danilo, un ragazzo che la soccorre in un momento in cui lei ha bisogno, avendo perso la sua borsetta con i documenti e il denaro per tornare a casa. L’incontro con Danilo è l’avvio della vicenda romantica tra i due, che avrebbe potuto concludersi con un matrimonio ma che invece ha un epilogo melanconicamente conturbante. Nella vicenda di Robin e di Danilo troviamo un’interessante dinamica di oscillazione tra due generi, il tragico e il comico. Sono aspetti che emergono anche in opere di Shakespeare come Romeo e Giulietta e Otello, e che ben sottolineano una caratteristica principe dell’esistenza umana.
Nonostante l’interessante binomio tra comico e tragico, occorre forse cercare di evidenziare meglio la fisionomia del personaggio principale. Robin è una ragazza che desidera l’amore, lo desidera più di ogni altra cosa. Questo aspetto emerge fin dall’incontro con Danilo, che forse viene anche idealizzato dalla giovane donna, abituata a vivere, o a cercare di vivere, letterariamente tutti gli aspetti della propria vita. Questa sua caratteristica la porta a struggersi dal desiderio per un gesto d’amore, un bacio, una carezza, un gesto d’affetto, un piccolo momento di felicità. Lei, che non ha mai conosciuto l’amore, che ha sempre anteposto i suoi doveri alla propria felicità e ai suoi sogni, dopo l’incontro con Danilo vive una tensione per ciò che potrebbe accadere, per il bacio che si scambiano al momento della separazione e la promessa di ritrovarsi a un anno di distanza. Tutto questo fa sì che Robin per tutto il tempo che separa un’edizione del Festival dall’altra, luogo e momento del nuovo appuntamento, cerca di tenere vivo il legame con questo mondo altro in cui ha incontrato il suo possibile amore. Ecco che allora passa intere giornate in biblioteca, in una condizione di isolamento che prevede la lettura e la ricerca volta alla scoperta di questo «Montenegro», paese d’origine di Danilo ma da lei immaginato come un mondo altro, ignoto, vagamente fantastico e che lei vuole studiare essenzialmente per tenere vivo il legame sentimentale e immaginativo con Danilo.
Dopo un anno di attesa e di ricerca, però, il destino, ironico e amaro allo stesso tempo, le gioca un brutto scherzo. Robin torna infatti da Danilo, precisamente nel suo negozio, felice dell’incontro da tempo desiderato. Trova un uomo seduto sulla sua scrivania, che però la guarda in maniera confusa, quasi non la riconoscesse: dopo un primo momento di imbarazzo, l’uomo si alza e le chiude davanti agli occhi la porta del locale. Robin è all’apice della tristezza e della vergogna, sentendosi presa in giro e illusa da un uomo che ha atteso per lungo tempo. Il sentimento di delusione è così forte a tal punto da spingerla a non tornare più a Stratford e a prendere un diverso corso di vita.
In realtà si viene a scoprire che l’uomo non è Danilo, bensì suo fratello gemello, sordomuto dalla nascita che, non conoscendo Robin, ovviamente non sa del suo appuntamento con il fratello. Robin è però convinta che quell’uomo sia Danilo, il quale ha deciso di chiudere i rapporti con lei in malo modo ponendo un muro tra lui e la ragazza a cui aveva promesso, un anno prima, un appuntamento e un possibile avvio di una storia d’amore.
Si ritrova la protagonista a molti anni di distanza, probabilmente nel 2002 e all’età di 66 anni. Robin lavora in un ospedale e nell’epilogo la vediamo mentre legge una cartella medica di un paziente quasi in fin di vita e che scopre essere il fratello di Danilo, comprendendo quindi la verità: quarant’anni prima non è stata abbandonata dal suo Danilo, bensì dal fratello, ignaro della storia dei due amanti e che, essendo sordomuto, non poteva far altro che chiuderle la porta in faccia, magari anche spaventato dalla presenza estranea.
La verità, quindi, è appresa solo alla fine del racconto sia da parte dei lettori e sia da parte di Robin. Occorre sottolineare come siano passati quarant’anni, ovvero una distanza temporale tale per cui ormai recuperare questo amore perduto è impossibile, essendo Danilo già morto.
Il finale del racconto di Munro, oltre ad evidenziare la compresenza di generi che caratterizzano la dimensione umana, fa emergere ancora di più quanto sia possibile accettare, o meglio, accogliere generosamente, tutti i cambiamenti che il destino, talvolta beffardo, mette di fronte alla propria strada. L’epilogo della vicenda di Robin insegna quanto sia inutile struggersi di fronte al destino, di fronte agli eventi che hanno modificato la propria esistenza; occorre piuttosto accoglierli, saper trovare la bellezza anche in questi, saperli affrontare criticamente, analizzarli in tutti gli aspetti costitutivi. Certo, gli effetti di questo equivoco da commedia – lo scambio dei gemelli – sono comunque dolorosi. Per un destino tragicamente ironico e beffardo Robin e Danilo non possono vivere la propria storia d’amore. Tuttavia, l’epilogo non mostra una Robin arrabbiata, delusa e piena di rimpianti, ma una donna che cerca di riflettere sulla propria vita e non su quella che, invece, avrebbe potuto essere.
La protagonista, dopo un breve momento di riflessione, si rende conto che, alla fine, doveva andare così. Danilo, infatti, aveva degli obblighi nei confronti del fratello, e la stessa Robin avrebbe dovuto sacrificarsi per far stare bene gli altri, in primis la sorella. Ancora una volta emerge il carattere generosamente sottomesso di Robin, che davanti alla propria serenità e alla propria felicità pone il dovere, l’aiuto alla sorella malata. Anche se il destino non avesse giocato quello scherzo, la strada non poteva più di tanto modificare la propria direzione, essendo già segnata.
Al termine del racconto, quindi, una donna che accoglie ciò che la vita gli ha dato. Nel finale ci sono elementi di pacificazione, di consolazione perché Robin appare reinserita nella propria comunità. Ha una posizione di tendenziale isolamento, lavora con con i malati psichiatrici che sono in questa struttura in qualche misura rimossa dalla cittadina, ma in questa condizione eccentrica o marginale ha un riconoscimento sociale, e molti si fanno domande su Robin, sottolineando quanto comunque lei nel tempo abbia costruito una propria storia, una propria individualità sociale e collettiva.
D’accordo, il finale del racconto non è un finale felice, ma non è neanche del tutto tragico. Robin, infatti, non si strugge sul proprio passato, sulla propria vita, su ciò che è stato, ma riflette, prende in esame ciò che gli è accaduto, scegliendo quindi di non accanirsi contro il destino, un atteggiamento caratteristico di molti personaggi letterari e, perché no, della maggior parte degli esseri umani. Il finale resta quindi in bilico fra i due generi, comici e tragici, e questo alone di ambiguità altro non è che lo specchio di una caratteristica principe dell’esistenza individuale.
L’epilogo fa sì che questa verità ridicola emersa sia inaccettabile e costringa Robin a riflettere su questo passato, a ripercorrerlo minuziosamente e a scontrarsi, a riflettere su un caso perverso che le sembra avere agito, concorrendo con un insieme di circostanze a fare sì che arrivasse a casa di Danilo in quei pochi minuti in cui il ragazzo non c’era, e l’unica presenza era quella del fratello.
In fondo, la stessa Robin è ricondotta dalla propria indignazione, dalla propria rabbia per questo caso perverso, ad una riflessione su come questo amore con Danilo si sarebbe dovuto scontrare con la realtà delle loro vite. Se anche il caso non si fosse verificato, che cosa sarebbe potuto accadere? Ciascuno avrebbe dovuto fare i conti con i propri obblighi verso il fratello o la sorella malati e la relazione sarebbe finita lo stesso. Retrospettivamente, non è stato meglio così?
Certo, questo aspetto che potrebbe essere definito di consolazione non può non far riflettere su un aspetto tipico della scrittura della Munro: l’elemento della distanza temporale. La scrittrice, infatti, spesso utilizza questo movimento tra il tempo degli eventi che è il tempo della giovinezza del personaggio e la loro riconsiderazione con la scoperta della verità a decenni di distanza, attraverso l’utilizzo di prolessi e analessi volte a rendere il movimento di questa temporalità. Sono passati quarant’anni, una distanza di tempo enorme, che forse cancella qualsiasi possibile rimpianto e frustrazione sul destino, su ciò che poteva essere e, invece, non è stato. Robin è veramente sincera nella propria auto-consolazione e nella propria riflessione o è invece il tempo trascorso, tutti quegli anni che hanno cancellato quel possibile chissà se…?
Alessandro Crea