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PPP, Milano e i teddy boys

Disegno di Giulia Pedone

Pier Paolo Pasolini nel novembre 1959 si trova a Milano. A pochi mesi dall’uscita di Una vita violenta, l’autore nato a Bologna nel 1922 esplora la capitale morale con la stessa furia e la stessa passione con cui nei primi anni Cinquanta aveva esplorato Roma. È il viaggio in una città che lo porterà alla scrittura di una sceneggiatura dal titolo La nebbiosa, pubblicata nel 2013 da Il Saggiatore. 

«Oh, teddy girl, pupa in technicolor//Oh teddy girl, c’è un juke box nel tuo cuor…». Nel 1959 dai juke box di tutti i bar esce la voce di un giovane Adriano Celentano che assurge a diventare l’idolo della gioventù milanese e non solo, a pochi anni dalla nascita del quartiere di Metanopoli a San Donato Milanese. Sono gli anni nei quali la modernità fa sì che la Milano di un tempo si estenda ben oltre i propri confini, abbracciando l’hinterland, la periferia. Sono gli anni del miracolo economico, del cosiddetto boom, di cui Milano assolve la funzione di motore nevralgico. 

È in proprio in questa città che Pier Paolo Pasolini giunge nel mese di novembre: è la trasferta e il viaggio di un uomo che decide di appropriarsi di Milano, di cui vuole raccontare la cangiante realtà. Ma non è solo. Umberto Simonetta, milanese doc e già autore di alcune delle più belle canzoni di Gaber, presenta a Pasolini Giuseppe Pucci Fallica e Paolo Uguccione. I tre, accompagnati da altri giovani milanesi, girano per trani, vecchie bettole milanesi e per bar luccicanti, perlustrando ritrovi di Teddy boys tra biliardi, sale da gioco e night-club.

Nasce La nebbiosa, sceneggiatura non utilizzata dai registi [1] che la commissionarono per il film Milano nera, pubblicata integralmente solamente nel 2013 da Il Saggiatore

Al di là della vicenda editoriale [2] e del discorso legato alla diffusione – peraltro molto sfortunata, essendosi trattato di un vero e proprio flop – del film del 1963, è fecondamente critica un’analisi del testo che, scostandosi dalla campitura romanzesca [3], permette comunque una riflessione sulle coordinate spazio-temporali, sul sistema dei personaggi e, forse, anche sulla morfologia di genere. Inoltre, da questo testo poco noto di Pasolini, possono emergere riflessioni valide sì per il 1959 e per gli anni Sessanta, ma anche per la nostra contemporaneità.

Innanzitutto, occorre partire dal definire chi sono i Teddy boys amici di Pasolini e, soprattutto, protagonisti de La nebbiosa. Sono giovani ragazzi di buona famiglia, soprattutto di Milano o del nord Italia, dediti al bullismo, alle rapine e ad atti vandalici in nome di una certa ribellione, a detta loro, anti-borghese, in odio alla società perbenista dei loro genitori. I Teddy boys pasoliniani sono, ovviamente, una declinazione di quelli inglesi, i cosiddetti «teds», appartenenti a una subcultura giovanile che inizia a svilupparsi all’incirca negli anni Cinquanta soprattutto a Londra e a Manchester. Si forma, per la prima volta, una cultura che rivendica la propria autonomia e che si identifica anche per uno specifico modo di vestire (capelli ondulati, jeans, canotta e giacche di pelle) e per una musica ascoltata, il rock’n roll.

La nebbiosa è un noir picaresco ambientato a Milano il 31 dicembre del 1959, la notte di Capodanno. I ragazzi protagonisti, identificati dai loro soprannomi, sono Gimkana, Teppa, Rospo, con il suo fratellino Cino, Contessa, Mosè e Toni. I giovani sono tutti rappresentati come ragazzi sfrontati, pronti a tutto. Sono vandali, certo, ma allo stesso tempo la loro caratterizzazione è cadenzata sulle note dell’ambiguità: hanno la faccia da bravi ragazzi ma sono pronti a tutto. Durante questa notte compiono una serie di atti vandalici che sfociano in veri e propri reati: rubano dei gioielli in chiesa, caricano in macchina tre donne dell’alta borghesia per portarle ad una festa che si trasforma in una splendida orgia, molestano, con la volontà di castigare, una coppia appartata in macchina, aggrediscono un omosessuale e, per finire, precipitano in un night-club del centro di Milano a dare spettacolo tra urla, violenze e confusioni. È un’avventura, la loro, ma l’avventura finirà male, soprattutto per uno dei ragazzi, il Teppa.

La nebbiosa, nonostante sia una sceneggiatura, permette comunque di parlare della presenza di un narratore, il cui osservatorio privilegiato sono le didascalie che, oltre ad assolvere la funzione di descrivere l’ambiente – realizzato, poi, dalla presa cinematografica – spiegano la realtà e il personaggi, i loro gesti. È in queste didascalie che si sente la presenza del narratore, in quanto non sono propriamente cinematografiche ma stralci lirici, momenti narrativi. Si tratta di estese descrizioni ambientali, con minuziose enunciazioni dei pensieri e dei gesti dei personaggi.

Se si volesse parlare del narratore, la fisionomia narrante de La nebbiosa è quella di un narratore esterno e onnisciente che, oltre a conoscere molte cose, che a volte neanche i personaggi stessi sanno, entra nella testa dei suoi ragazzi, ci spiega come si sentono e cosa pensano. 

I personaggi sono diversi tra di loro anche sul piano socio-economico e culturale ed è di fatto possibile dividere il sistema dei personaggi in due gruppi: da un lato Toni, Teppa e Gimkana, di estrazione popolare e dall’altro Rospo, il Mosè e il Contessa, appartenenti a famiglie borghesi. La contrapposizione interna al sistema dei personaggi, lungi dall’essere una semplice dicotomia per raccontare diversi ragazzi, è fondamentale poiché si ricollega alla riflessione di Pasolini di quegli anni. Un altro dato è fondamentale: i ragazzi più ricchi, coloro appunto borghesi, sono, nelle vicende raccontate ne La nebbiosa, i più cattivi. Il comportamento che prevale nella banda è infatti quello di Rospo, che ricopre di fatto il ruolo di protagonista, con la sua violenza e la sua rabbia.

I giovani ragazzi sfogano la loro rabbia ed è proprio Rospo che spinge i suoi compagni a prendersela con i membri della sua stessa classe sociale: la borghesia. Rospo è arrabbiato con il suo ceto e spesso fornisce spiegazioni e osservazioni morali sulla sua classe sociale, mostrandosi quasi come un giustiziere che punisce l’ipocrisia della sua realtà e la sua mancanza di virtù. Lo si nota, soprattutto, nell’episodio delle tre donne alto-borghesi che, dopo qualche bicchiere di vino, si concedono facilmente ai ragazzi.

Una delle figure fondamentali ne La nebbiosa è sicuramente Gino. Il personaggio, alter ego di Pasolini, è un omosessuale che viene picchiato e derubato dai ragazzi, i quali decidono di attaccarlo anche in quanto culo [4].
L’uomo viene caricato in macchina e, invece di mostrarsi impaurito, appare sicuro di sé e accusa i ragazzi di essere profondamente infelici:

«Siete non infelici, ma molto infelici. Odiate tutti i vostri padri, e il loro mondo, cioè la società: ma non li odiate abbastanza…perchè, in fondo, siete come loro…» [5]

Inoltre, Gino fa una sorta di premonizione e di analisi psicologica nei confronti del protagonista, di Rospo:

«Tuo padre è un commerciante, o un piccolo industriale, magari ex fascista. E tu diventerai come lui, servo della società borghese, magari con una moglie bigotta…come tua madre» [6]

Inutile sottolineare come la sua analisi corrisponda alla verità. L’uomo, in questi passi, accusa i ragazzi di essere infelici, e di sfogare la loro frustrazione contro la società borghese rispecchiando il pensiero di Pier Paolo Pasolini. Secondo l’autore di Ragazzi di vita, infatti, i ragazzi della borghesia degli anni Cinquanta sono ribelli e violenti, infelici, scontenti dei loro padri e del mondo borghese al quale appartengono. 

Pasolini sottolinea come questi giovani si professino anti-borghesi, vadano contro la morale – se di morale si può parlare – dei loro padri, senza odiarla così tanto proprio perché a loro fa comodo la loro classe sociale; non per niente, attaccando uno dei tanti frocetti che loro detestano, applicano la volontà di far rispettare dei valori borghesi, che di certo, ieri come oggi, non vedevano l’omosessualità come un qualcosa di giusto.

Ma l’analisi di Pasolini va oltre e, come suggerisce Alberto Piccinini [7], è necessario richiamare un articolo [8] pubblicato su Vie nuove dal titolo La colpa non è dei “Teddy boys” scritto in seguito a un congresso sul disagio giovanile tenutosi a Venezia tra il 26 e il 27 settembre 1959. L’autore, riferendosi agli interventi di «uomini illustri» che avevano detto la loro sul problema dell’adolescenza in qualche modo traviata, scrive che «tanta presunzione pedagogica, tanta cecità reazionaria, tanto sciocco paternalismo, tanta superficiale visione dei valori, tanto represso sadismo, non possono che giustificare l’esistenza, in molte città italiane, di una gioventù insofferente e incattivita» [9].

Oltre al riferimento all’organizzazione del convegno, l’articolo di Pasolini è si lega anche alla realtà milanese degli anni Sessanta. I Teddy boys, infatti, non esistono nel Sud Italia o nel Centro, proprio perché la realtà urbana del Nord, in quegli anni, modifica non solo il paesaggio, la città, ma anche la natura fisiologica dei suoi abitanti, soprattutto i giovani.

I ragazzi de Le nebbiosa, secondo Gino-PPP, sono infelici perchè è la quotidianità miracolante del boom che li rende tali. Sono nevrotici, vivono in una realtà che dà loro garanzie dietro alle luci della modernità, ma che tutto sommato è ipocrita, ingiusta, noiosa e reca solamente rancore. La società del consumo – che presto, a detta di Testori [10], aggiungerà quell’ismo che porterà a un crollo dei valori – scava dentro ai suoi membri una nevrosi, la volontà di consumare sempre cose nuove.

La società genera infelicità quando non ci si può concedere un certo bene di consumo il cui desiderio scaturisce dalle dinamiche dell’ambiente stesso. Ci sono delle eccezioni, ovviamente, e nella sceneggiatura il personaggio di Teppa è decisivo. È l’unico che, in un mondo fatto di egoismi, di rancori e di corsa al consumo, sa amare: ha nel portafoglio la fotografia della sua amata, Daniela, e ciò lo porta a continue prese in giro.

Esemplare, tuttavia, è l’epilogo de La nebbiosa. Il Teppa, proprio mentre sotto la finestra della sua amata le dedica una canzone, viene ucciso, colpito da un proiettile lanciato da Cino, il fratellino di dieci anni di Rospo che, nel corso di questa notte brava [11], ha guardato con paura e fascino alle vicende degli amici di suo fratello. Il Teppa muore perché in questo mondo non può vivere uno come lui, «tutto bellezza e gioventù», per utilizzare le parole di Gino, sano, in qualche modo, rispetto agli altri, non influenzato dal mondo moderno. 

La nebbiosa, oltre a raccontare le vicende di giovani ragazzi immersi nel fascino conturbante del boom, è anche il disegno di una città. L’ambiente rappresentato è quello della periferia, i luoghi che in questi anni mutano di più. La periferia è anche sinonimo di modernità, come come le nuove costruzioni quali grattacieli.

Ma, oltre alla modernità, rimangono ancora i luoghi in cui la città non si è ancora allargata, luoghi dei quali la metropoli ha sottratto la loro identità ma non gliene ha data un’altra; e non è un caso che questi luoghi, collocati nell’estrema periferia, una sorta di terra di nessuno, diventano i preferiti dalla banda per le loro attività illecite.

Da un lato, la modernità luccicante, dall’altro, invece, la realtà più difficoltosa, insieme. La città è rappresentata con due parti contrastanti così come la personalità dei personaggi. Sia sul piano ambientale che su quello dei personaggi, Pasolini si concentra sul retro della medaglia del miracolo economico. I ragazzi sono la discarica delle nevrosi del miracolo, subiscono l’infelicità che la società miracolata crea. A Pasolini interessano più i danni creati dal boom che il fenomeno in sé, anche in coloro che ci vivono.

Ecco che La nebbiosa, oltre a tutto il discorso legato alla sceneggiatura e alla realtà cinematografica sottostante, diventa un testo emblematico – e purtroppo poco noto – non solo per capire gli anni a cavallo tra Cinquanta e Sessanta, ma anche per leggere, forse, la nostra contemporaneità e per ricordare, ancora una volta, come lo scrittore corsaro sia stato sempre qualche passo avanti, anticipando, e scrivendo il romanzo nero di una Milano disperata e violenta.

Alessandro Crea


[1] Il produttore era Renzo Tresoldi, mentre i giovani registi sono Gian Rocco e Pino Serpi.
[2] Si veda, a tal proposito, M. D’Agostini, Nota al testo, in P. P. Pasolini, La nebbiosa, il Saggiatore, 2013, pp. 187-191.
[3] La nebbiosa è una sceneggiatura.
[4] Termine diatopicamente connotato – e spregiativo – per indicare «omosessuale».
[5] P. P. Pasolini, La nebbiosa, il Saggiatore, 2013, p. 140
[6] Ibidem
[7] A. Piccinini, Il lato teddy boy di PPP, in P. P. P. Pasolini, La nebbiosa, il Saggiatore, 2013, pp. 9-20
[8] P. P. Pasolini, La colpa non è dei “teddy boys” (1959), in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, pp. 92-98
[9] Ivi, p. 94
[10] Giovanni Testori in un articolo del 1982 parlerà di un passaggio da consumo a consumismo che porterà ad un crollo di valori.
[11] Pier Paolo Pasolini nel 1959 scrive la sceneggiatura di La notte brava (1959) di Mauro Bolognini.

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