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Noi, i ragazzi del Postoristoro

Pier Vittorio Tondelli con i suoi «ragazzacci di un’Emilia americana» mette in luce gli aspetti più emarginati e provinciali dell’Italia «pop» degli anni Ottanta, in primis la piaga dell’eroina di massa.

Disegno di Giulia Pedone

Lo scrittore e giornalista Giacomo Papi nel suo ultimo lavoro [1] ben sottolinea la contraddittorietà disperata caratteristica degli anni Ottanta: «Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi, era l’epoca della libertà, era l’epoca della schiavitù, erano gli anni dell’abbondanza, erano gli anni del bisogno, erano gli anni della febbre del sabato sera ed erano gli anni delle stragi del sabato sera, il comunismo moriva, la provincia esplodeva, l’eroina scorreva e l’AIDS dilagava, erano gli anni del riflusso, dell’edonismo, del disimpegno e della disperazione, degli stilisti, delle top model, della nouvelle cuisine, dei deejay e dei paninari, e tutto quanto – tutto – sembrava trasformarsi in un marchio» [2].

La città di Milano diventa luogo paradigmatico di tutte queste dinamiche: nuove mode giovanili, nuovi costumi e nuovi stili di vita diventati simbolo di un’epoca hanno visto il proprio centro di irradiamento proprio all’ombra del Duomo, dall’osservatorio privilegiato di Palazzo Carminati illuminato con insegne e pubblicità al neon. 

È proprio una veduta notturna di questa piazza scattata dal fotografo Mario De Biasi nel 1986 a costituire lo sfondo su cui si staglia lo slogan dell’Amaro Ramazzotti, diventato poi emblema: una «Milano da vivere, da amare, da godere…», insomma, una «Milano da bere».

Ecco allora che questi anni vengono raccontati spesso e volentieri come anni di benessere, di edonismo e di spensieratezza, ma le cose si fanno molto più complicate e, proprio per questo, interessanti. Gli anni Ottanta sono anche anni caratterizzati da una piaga drammatica, ovverosia l’utilizzo dell’eroina di massa. Al di là del centro, della ricchezza e della fin troppo ostentata felicità, esiste un mondo nascosto fatto di disperazione, di vergogna, di ricerca ossessiva di aiuto sfociato nell’utilizzo di sostanze stupefacenti. 

Il movimento punk della Milano di quegli anni deride lo slogan ottimista e ipocrita di quel periodo: la città di Milano, specchio dell’Italia degli anni ’80, diventa ben presto una «Milano da pere». Alle luci sfolgoranti ed esuberanti di una decade decisamente «pop» si accompagnano ben più oscure tonalità a corroborarne la contraddittorietà. Interi quartieri popolari vengono sommersi dall’eroina e i bar, così come i parchi delle piccole e grandi periferie, diventano luoghi emblematici dello spaccio. Tappeti di siringhe, giovani brancolanti ridotti a zombie, notizie quotidiane di scippi e morti di overdose, file davanti alle farmacie diventano elementi caratteristici della quotidianità dell’epoca, ritratti e indagati da molti fotografi dell’epoca, desiderosi di testimoniare la difficile realtà che affrontavano i giovani di quegli anni. 

Letteratura e cinema diventano elementi fondamentali, utili a rifrangere sulla pagina e sullo schermo una condizione giovanile disperata che ormai dilagava e trovava sfogo nel centro, nella periferia e nella provincia. Rimanendo in Italia, paradigmatico dei tormenti giovanili tra disagio ed eroina fu il film Amore tossico (dir. Claudio Caligari, 1983), che racconta le vicende di giovani borgatari e della loro esistenza ai margini. 

Ben più noto – un vero e proprio caso editoriale e poi cinematografico – è il diario di Christiane F. dal titolo Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino , indagine esplorativa nelle viscere più degradate della metropoli tedesca a cavallo tra anni Settanta e Ottanta. Dal libro, poi, venne tratto un film di Uli Edel nel 1981, sconcertante e crudelmente veritiero.

A raccontare gli anni Ottanta, in Italia, ci fu Pier Vittorio Tondelli, colui che meglio di altri – e per primo – è riuscito a indagare i più svariati aspetti di un’Italia postmoderna, tra mode, musica, nuove tendenze artistiche e letterarie, scoperte, entusiasmi e vitalità che spesso avevano come luogo principale non tanto la grande città, quanto piuttosto la provincia.

L’esordio di Tondelli (Altri libertini, Feltrinelli) è datato 1980 e il libro venne fatto sequestrare per oscenità, turpiloquio e oltraggio alla morale dal procuratore generale dell’Aquila e infine assolto con formula piena nel 1981. Tra i vari aspetti degli anni ’80 che Tondelli è riuscito a raccontare con icastica efficacia vi sono anche tutti quegli elementi nascosti dalla grande società del benessere di quegli anni, primo fra tutti, appunto, l’eroina, che segnò irrimediabilmente l’esistenza di giovani donne e di giovani uomini distrutti da quella che fu la piaga di un’epoca.

Il primo racconto di Altri libertini, infatti, rappresenta con toni molto crudi la vita di alcuni ragazzi tossicodipendenti, figli emarginati di una una provincia soffocante e vista, da chi la abita, come luogo emblematico di una certa noia, di una mancanza di possibilità di realizzazione: resta solo la droga quale unica consolazione.

Il primo dato, quindi, è proprio l’osservatorio previlegiato della provincia, e l’elemento urbano passa in un secondo piano. Spiccano, si fa per dire, le luci ammuffite di una tavola calda vicino ad un’anonima stazione, caratterizzata da una fauna disperata e un po’ sonnacchiosa:

«Sono ormai giorni che piove e fa freddo e la burrasca ghiacciata costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro, luce sciatta e livida, neon ammuffiti, odore di ferrovia, polvere gialla rossiccia che si deposita lenta sui vetri, sugli sgabelli e nell’aria di svacco pubblico che respiriamo annoiati, maledetto inverno, davvero maledette notti alla stazione, chiacchiere e giochi di carte e il bicchiere colmo davanti, gli amici scoppiati pensano si scioglie così dicembre, basta una bottiglia sempre piena, finché dura il fumo» [3].

Come ha sottolineato giustamente Roberto Carnero, «i personaggi che si muovono sulla scena sono senzatetto, tossicodipendenti, prostitute, esponenti della malavita locale […]» [4], insomma ragazzi e ragazze di vita emblematici di una gioventù emarginata. 

I protagonisti sono mossi da bisogni banali e legati alle loro esistenze: la ricerca di una dose, il bisogno spasmodico di metadone, le crisi d’astinenza – memorabile la scena a tal proposito di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – e, tutto ciò ha come cronotopo proprio un’anonima stazione ferroviaria sporca, polverosa e degradata, l’opposto di quella luce al neon tanto iconica e mitizzata. 

Carnero, ancora, coglie un aspetto fondamentale non solo del racconto iniziale del romanzo a episodi tondelliano, ma di tutta la parabola esistenziale dei «ragazzacci di un’Emilia americana» [5], ovverosia una disperata, intensa e sincera forma di solidarietà:

«Ma c’è in loro anche la tensione verso un orizzonte diverso, il desiderio di sperimentare modalità di rapporti umani che superino gli egoismi e le meschinità, attraverso una forma di solidarietà disperatamente intensa e sincera: la posta in gioco, del resto, è la stessa sopravvivenza» [6].

Altri libertini di Tondelli, quindi, non solo diventa manifesto generazionale della ribellione, dello scontro con i padri, della sfida a quel conformismo piccolo borghese anche un po’ fascistoide della monotona vita provinciale, ma diventa anche l’urlo con il quale l’autore di Correggio vuole far emergere il bisogno di affetto, di amore, di sentimento puro che vive anche e soprattutto tra la gioventù più disperata, tra tutti i libertini che hanno visto in Tondelli il proprio cantore, che li ha sempre inclusi e apprezzati facendoli protagonisti di alcune tra le pagine più belle di tutta la letteratura italiana degli anni Ottanta.

Alessandro Crea


[1] G. Papi, Italica. Il Novecento in trenta racconti (e tre profezie), Rizzoli Milano 2022
[2] G. Papi, Italica, op. cit., p. 320
[3] P. V. Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli Milano 2013, p. 9
[4] R. Carnero, Lo scrittore giovane. Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana, Bompiani Milano 2018, p. 55
[5] F. Pezzato, Ragazzacci di un’Emilia americana, «Il Resto del Carlino”, 16 febbraio 1980. Ora in P. V. TONDELLI, Viaggiatore solitario. Interviste e conversazioni 1980-1991, a cura di F. Panzeri, Milano, Bompiani 2021, p. 35. 
[6] R. Carnero, Lo scrittore giovane. Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana, op. cit., p. 56

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