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Klara e il Sole: ciò che la tecnologia non può riprodurre

Disegno di Sara Marcon

Ishiguro (Klara e il Sole, 2021) racconta un presente distopico in cui la scienza risponde alle difficoltà relazionali con l’intelligenza artificiale.

Ferme sul divano in pedana, col volto disteso e un sorriso cortese, Klara e Rosa si godono il loro turno nella vetrina del negozio. Questa è una delle posizioni più favorevoli all’acquisto, nonostante Direttrice insista a dire che le probabilità di essere notati dai clienti siano uguali per tutti gli AA, Amici Artificiali: da quelli nella nicchia frontale a quelli sul retro. Se Klara in quei giorni non fosse stata in vetrina, però, Josie forse non l’avrebbe mai notata e le due non si sarebbero affezionate istantaneamente l’una all’altra. Quel che è certo è che in vetrina il sole inonda gli AA esposti, senza la quale energia essi si spegnerebbero, come a pile scariche. La voce di Klara introduce il lettore in un presente distopico, in cui avanzati robot da compagnia ad energia solare attendono febbrilmente di essere acquistati da giovani padroni.

Dopo la straziante storia di Kathy, bambina-clone allevata come banca organi in Non lasciarmi, Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la Letteratura nel 2017, chiama nuovamente sul banco di prova la scienza e i suoi prodotti sempre più intimamente connessi all’essere umano, tanto da inserirsi nella rete relazionale di questo. Klara, come anche Rosa, è un androide dalle raffinatissime capacità intellettive ed emotive, progettata per fornire compagnia ad una generazione di adolescenti che sembra aver sviluppato un handicap nell’instaurare relazioni, tanto da aver bisogno di “incontri di interazione” per crearne con i propri coetanei. Si tratta di giovani ragazzini che, istruiti in lezioni da remoto, necessitano di riunioni “dal vivo” architettate apposta per loro dalle madri presenti, ma radunate in disparte, perché «i ragazzi devono» imparare a «vedersela da soli» [1].

«Volevo indagare, attraverso Klara, se gli esseri umani siano fondamentalmente soli. Non nel senso quotidiano del termine, come quando si parla dei social media che rendono gli adolescenti più isolati, ma a un livello più profondo. È possibile che i modi in cui viviamo, in cui ci aggreghiamo, siano una strategia per evitare di riconoscere quanto siamo in realtà soli? A volte capitano dei momenti di sofferenza in cui quell’illusione si rompe» [2] spiega l’autore in un’intervista di Paolo Giordano. La strutturale solitudine dell’uomo, anziché venire accettata e accolta nella sua, anche se dolorosa, inevitabilità, viene qui considerata come l’ennesima mancanza dell’essere umano, a cui la tecnologia vuole porre rimedio. Ecco, dunque, gli AA: la risposta delle tecnoscienze all’incapacità umana di sopportare l’assenza dell’altro. Costruiti come dispositivi d’intrattenimento altamente avanzati, servono la mansione di accompagnare i loro padroni fino a che questi ne hanno bisogno, per poi terminare la loro esistenza, come Klara, nel “Cortile”, una discarica-cimitero per AA e vecchie ferraglie. È interessante, inoltre, notare come sia l’adolescenza, e non un’altra fase della vita, a richiedere un supporto relazionale. Nel periodo più delicato della crescita, quando la fatica di scoprirsi soli al mondo scolpisce il carattere del giovane, la scienza interviene per anestetizzare per l’uomo l’ennesimo dolore e risparmiargli l’ennesimo limite.

È sempre contro i confini della natura umana che la tecnologia nel romanzo (non dissimile a quella reale) si batte, sottoponendo i ragazzi ancora piccoli a trattamenti di “potenziamento” delle loro capacità intellettive, a rischio di far ammalare o, addirittura, uccidere i giovani stessi. A queste terapie ricorrono molti genitori per i figli, ritenendo valida la scommessa sulla vita della prole, pur di far di essi una generazione avanzata. A causa di questi “potenziamenti” Sal, la sorella maggiore di Josie, è scomparsa: questo non ha, però, fermato la madre dal ritentare gli stessi trattamenti sulla secondogenita, guastandone gravemente la salute. La possibilità di perfezionare le abilità umane crea uomini e donne di serie A, contrapposti a chi questa opportunità non può o non vuole coglierla: si sviluppa, così, una nuova forma di apartheid tra “potenziati” e “non potenziati”. Ricky, vicino di casa e fidanzatino di Josie, soffre la discriminazione per una scelta che sua madre ha fatto, ma che lei stessa, a posteriori, ritirerebbe: «ho la sensazione… ho la sensazione di non aver fatto del mio meglio per lui. Di non averci nemmeno riflettuto a fondo […], mi sono lasciata sfuggire l’occasione. Forse è di questo che mi sono pentita soprattutto. Di non averlo mai amato abbastanza da prendere una decisione in un senso o nell’altro» [3]. In una società che riconosce come valore assoluto il progresso tecnologico, persino la vita dei suoi figli vale il sacrificio per il perfezionamento del “dispositivo umano”.

Quando la tecnologia si intromette nella materia umana, rischia di creare un circolo vizioso, per cui, ad ogni risposta che propone, s’imbatte in una falla a cui deve ancora imparare a rimediare. Dopo aver perso la prima figlia con il “potenziamento”, Chrissie si rifiuta di perdere anche Josie, ammalatasi: da qui ha origine il progetto del ritratto di Mr Capaldi. È in occasione di uno degli appuntamenti di posa per il ritratto che la ragazzina, giunta in città, incorrerà nella vetrina del negozio di AA dove troverà Klara. Quest’ultima scoprirà solo più tardi di essere parte integrante e fondamentale del progetto di Chrissie e Mr Capaldi. Il ritratto dell’artista non è, infatti, una tela raffigurante la ragazza, bensì un AA modellato ad immagine e somiglianza di Josie, nelle cui lamiere subentrerebbe la stessa Klara, addestrata ad imparare in profondità movenze e comportamenti della ragazzina, per poterla poi sostituire nel caso venisse a mancare, a seguito della malattia. «Non si vuole che tu imiti soltanto gli atteggiamenti di Josie. Ti si chiede di essere la prosecuzione di lei per Chrissie. E per tutti coloro che amano Josie» [4].

Davanti all’eventualità di un secondo lutto, e quindi di una seconda assenza dell’altro, Chrissie si rifiuta di soffrire ancora, perché la tecnologia che ha plasmato la sua vita le offre la possibilità di fuggire questo dolore. Non ci si sorprende se l’essere umano accetta l’occasione di risparmiarsi l’ennesima piaga, abituato agli analgesici che la scienza offre contro sempre più mali della vita. Il progetto è atroce, ma la ragione che lo motiva non è del tutto condannabile. Perché esso arrivi al successo, però, è necessario abbandonare «la parte che si ostina a voler credere che ci sia qualcosa di inaccessibile dentro ognuno di noi. Qualcosa di unico e non trasferibile». Per Mr Capaldi «non esiste nulla di simile […]. Non c’è niente là dentro. Niente dentro Josie che le Klare di questo mondo non possano proseguire» e, per questo, «la seconda Josie non sarà una copia. Sarà esattamente identica e tu [Chrissie, ndr] avrai tutto il diritto di amarla come ami Josie, né più né meno» [5].

Se non esiste niente che caratterizzi un essere umano come unico, allora ognuno di essi può essere “imparato” e “studiato” in profondità: non c’è niente di inconoscibile e non misurabile in esso. «Il cuore umano deve per forza essere complesso. Ma avrà senz’altro un limite, […] dev’esserci una fine a quanto occorre imparare» [6]. Anche una mente sentimentale ostinata, come quella del padre di Josie, Paul, finisce per arrendersi alle promesse della scienza: «credo di odiare Capaldi perché in cuor mio sospetto che abbia ragione. Che quanto sostiene sia vero. Che la scienza abbia ormai dimostrato al di là di ogni dubbio che non c’è niente di tanto unico in mia figlia, niente che i nostri strumenti moderni non sappiano portare alla luce, copiare, trasferire» [7].

Una macchina costruita per muoversi e agire come un essere umano, per quanto raffinata e precisa, non potrà, però, mai essere l’uomo o la donna che imita alla perfezione, dal momento in cui il dispositivo è generato per essere imitazione e la persona, invece, nasce per essere e basta. Per quanto la tecnologia si affini nel riprodurre l’uomo, questa si distinguerà sempre da esso proprio perché è creata per servire uno scopo, come uno strumento, mentre l’uomo nasce nella piena libertà di essere per il fatto stesso di essere.  Nel romanzo la macchina prende un posto nella vita dell’uomo che non potrà mai essere genuinamente suo: si tratta dell’unico ambito della vita che la scienza non può ottimizzare, ossia la relazione umana. La macchina non può prendere il posto di un uomo in una relazione e infatti fallisce quando lo fa, perché i rapporti che crea diventano artificiali, forzati, mossi da una direttiva (“fai compagnia al tuo padrone”) che gli AA hanno inscritti in partenza e non dà una loro libera volontà di farlo. Klara prova sentimenti per Josie, è disposta a dare metà del suo liquido vitale per salvarla, ma lo fa perché è programmata per prendersi cura di una bambina, tant’è che, quando finisce il suo compito, viene gettata via in discarica, come un elettrodomestico usato.

Kazuo Ishiguro affronta una problematica tra le più complesse e controverse del dibattito scientifico attuale attraverso una voce, quella di Klara, altrettanto contradditoria: è un androide che parla, ma il lettore percepisce la delicatezza e l’emotività di un essere umano. Una prosa piana e un ritmo controllato narrano una trama a tratti persino inquietante. La forza dell’autore sta proprio qui: nel suo stile «sempre limpido, lineare, così apparentemente “semplice” da lambire la pedanteria» [8] applicato a tematiche che dividono e frammentano l’opinione scientifica.  

Con Ishiguro, la letteratura si inoltra decisa in un campo, quello tecno-scientifico, in cui molti potrebbero considerarla estranea, ma dove, in realtà, è capace di interrogare le scelte etiche dell’uomo, delineando moti interiori ed esteriori dei personaggi che si trovano a confronto con queste. Pochissimi strumenti riescono a scandagliare l’animo umano con tale efficacia ed eleganza come la letteratura, a cui non spetta, però, il compito di risolverne i dilemmi. Essa ha, più propriamente, un dovere di onestà verso l’uomo e riguardo all’uomo, verso i suoi lettori e riguardo al genere umano. Dovrà, infatti, ricercare e conoscere caratteri e azioni tipicamente umani, per riportarli con trasparenza a lettori, a loro volta umani, capaci di riconoscersi in personaggi fittizi, perché nati dalla loro stessa esperienza reale. Per meno di questo non si fa letteratura. Ishiguro intreccia nella sua trama il dilemma umano della scelta morale, ma starà poi ai suoi lettori – medici, scienziati, politici o intellettuali che siano – prendere una posizione in una materia, come l’etica, che non può lasciare indifferente nessuno, visti soprattutto gli ultimi progressi tecnologici.

È da discussioni con numerosi esperti di intelligenza artificiale della DeepMind, azienda inglese del settore, che Ishiguro trae ispirazione per il romanzo e si interessa per tematiche che, come nota l’autore, sono capaci di suscitare tanto entusiasmo quanta preoccupazione. Il discorso per il Nobel riporterà, poi, il suo contradditorio interesse per l’argomento: «dietro l’angolo – sempre che non l’abbiamo già svoltato – ci attendono le sfide imposte dalle stupefacenti scoperte della scienza, della tecnologia e della medicina. Le nuove biotecnologie e i progressi della robotica e nel campo delle intelligenze artificiali ci garantiranno straordinari benefici e salveranno molte vite, ma con il rischio possibile di dare l’avvio a meritocrazie selvagge che ricordano l’apartheid, a disoccupazione di massa anche tra le attuali élite professionali. Eccomi qui, dunque, a sessant’anni passati, a strofinarmi gli occhi nel tentativo di distinguere i contorni di questo mondo avvolto nella nebbia di cui fino a ieri neppure immaginavo l’esistenza» [9].

Alice Dusso

[1] Kazuo Ishiguro, Klara e il Sole, trad. di Susanna Basso, Einaudi, Torino 2021, p. 73.
[2] Kazuo Ishiguro in Paolo Giordano, Androidi con l’anima, «La Lettura» del «Corriere della Sera», n.494, 16 maggio 2021, p. 2.
[3] K. Ishiguro, Klara e il Sole, p. 209.
[4] Ivi, p. 184.
[5] Ivi, pp. 184-185.
[6] Ivi, p. 194.
[7] Ivi, pp. 196-197.
[8] P. Giordano, Androidi con l’anima, p. 3.
[9] K. Ishiguro, La mia sera del Ventesimo secolo e altre piccole svolte, Einaudi, Torino 2018.

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