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«J’ai vieilli»: il viaggio di Zazie, che dalla provincia arriva a Parigi

Disegno di Giulia Pedone

La ribelle Zazie, protagonista di uno dei più noti romanzi di Raymond Queneau, ha un solo desiderio: «prendre le métro», ma purtroppo uno sciopero glielo impedisce. La ragazzina che viene dalla provincia “invecchia” in una Parigi fluttuante e priva di punti di riferimento, mostrando come a fine anni ’50 un percorso di formazione risulti impresa alquanto difficile e a tratti impossibile.

È il 1959 quando Raymond Queneau pubblica Zazie dans le métro, romanzo che l’ha reso per sempre «le Pére de Zazie» [1]. Ambientato nella Parigi a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, Zazie dans le métro rappresenta, grazie alla delineazione di un cronotopo urbano di grande efficacia, una città all’indomani dell’Occupazione e alle soglie di un boom che ne cambierà irreversibilmente il volto. 

Il marché aux puces de Saint-Ouen, situato nel XVIIIe arrondissement, è diventato un luogo in cui emerge il consumismo americano di quegli anni, emblema di una contraddizione che sta attraversando la città: sviluppo economico, certo, il famoso miracolo, ma anche il segno di una perdita d’identità. Non c’è più spazio per la cultura parigina, per la tradizione culinaria, per il grande significato che il mercato assumeva nella poetica surrealista degli anni Venti. Il luogo, collocato alle porte della città, è visitato con grande interesse da Zazie che, scappata da casa dello zio, è ora alla ricerca di «bloudjinzes» [2] e occhiali da sole all’ultima moda, oggetti cult di un’epoca non troppo lontana. Ma poi, ancora, riferimenti al «cinémascope», alle lavatrici importate dall’America, alle luci elettriche al neon dei locali e al turismo di massa, che proprio in quegli anni iniziava a diffondersi in tutta Europa e non solo. 

L’elemento su cui occorre però concentrarsi è proprio nel titolo, poiché la modernità emerge fin dal paratesto del romanzo: «le métro». Zazie è arrivata a Parigi per fare esperienza della modernità, e ciò equivale ad un bel viaggio sul métro, poiché in provincia non esiste. È quello, infatti. il suo unico desiderio. La madre, Jeanne Lalochère, arrivata a Parigi per incontrare «un jules» [3] qualunque, lascia Zazie dallo zio Gabriel e, una volta uscita dalla Gare d’Austerlitz, subito chiede quando prenderanno il métro. C’è però un problema: a causa di uno sciopero le stazioni metropolitane sono chiuse, quindi Zazie non può essere accontentata. Ribelle, impertinente e anche un po’ sboccata, la ragazzina si arrabbia con tutti, mostrando un atteggiamento che la caratterizzerà per tutto il romanzo e che la renderà uno dei personaggi più memorabili nella storia della letteratura francese del secondo Novecento [4].

La metropolitana alla fine Zazie la prenderà, ma in uno stato di sonno profondo, e ciò fa sì che la protagonista non si sia resa conto del viaggio tanto desiderato. Alla domanda della madre, infatti, la ragazzina dirà di non aver preso il métro, in un explicit ambiguo e proprio per questo di gran fascino:

Alors, qu’est-ce que t’as fait?
J’ai vielli
[5]

Al termine di un romanzo ricco di avventure e di incontri con personaggi ambigui e stravaganti, Zazie dichiara di essere invecchiata: è passato del tempo, certo, ma la ragazzina proveniente dalla provincia non è cresciuta. Affrancandosi dal paradigma costitutivo del Bildungsroman e del «principio di classificazione» teorizzato da Franco Moretti [6], Zazie dans le métro di Raymond Queneau mette in discussione la tradizione, sottolineando non solo l’instabilità e il trasformismo dei personaggi – si pensi a Trouscaillon o al personaggio di Marceline -, ma anche del linguaggio e del romanzo stesso, sottolineando come un percorso di formazione sia ormai praticamente impossibile in pieno Novecento.

Avvalendosi di una struttura tradizionale, un’unità di luogo e delle coordinate spazio-temporale verosimili – Zazie arriva a Parigi alla Gare d’Austerlitz ed esattamente trentasei ore dopo ha il treno di ritorno nello stesso punto d’arrivo – il romanzo di Queneau in realtà mette in discussione quella stessa struttura romanzesca che per anni ha caratterizzato la tradizione. Non è un caso che l’anno successivo alla pubblicazione di Zazie, l’autore nato a Le Havre a inizio ‘900 decida di fondare, insieme a François Le Lionnais, l’OuLiPo, le cui tematiche si riverberarono in Italia anche grazie a Italo Calvino. Queneau destruttura la forma romanzo, mettendo in discussione soprattutto la qualità formativa della morfologia di genere.

Sono davvero tanti i discorsi possibili sulla lingua di Queneau e sul suo sperimentalismo, soprattutto in seguito ad una lettura complementare e contrastiva con il Surrealismo, che Queneau conosce – e da cui, poi, si distacca – appena arriva a Parigi negli anni ’20. Fiumi e fiumi di inchiostro sono stati scritti su questi aspetti, insieme ad ampie riflessioni sullo stile di Queneau e sulle sue scelte linguistiche. 

Un aspetto su cui non ci si è concentrati molto, però, forse è proprio la possibilità o meno di leggere Zazie dans le métro come un romanzo di formazione. Innanzitutto, occorre sottolineare come Zazie incarni fin da subito il personaggio-tipo del Bildungsroman: giovane, priva di conoscenze pregresse e desiderosa di lanciarsi verso l’ignoto, arriva a Parigi per fare esperienza della modernità del mondo. C’è la mobilità, la giovinezza e l’attesa di trasformazione, di comprensione, di cogliere la novità del tempo con quell’urgenza che caratterizza i personaggi di formazione. Inoltre, la piccola impertinente è la cassa di risonanza di una trasformazione che sta avvenendo nella Parigi del tempo, una città attraversata dalle ferite della guerra ma pronta a rinnovarsi, a imborghesirsi al ritmo del consumismo americano con con i suoi vantaggi e con le sue contraddizioni.

Tuttavia, ritornando all’explicit del romanzo, Zazie si dice invecchiata, non cresciuta. Lei, che sembra sottrarsi a qualunque regola, a qualunque «contrainte» [7] mettendo in discussione, rompendo in maniera fragorosa qualunque elemento autoritario e autorevole all’interno del romanzo, non può sottrarsi al tempo, è nel suo flusso. Nulla, nel romanzo, si sottrae al tempo che inesorabilmente passa. Nulla resiste a questa trasformazione che attraversa il romanzo, nulla resta uguale, neanche i monumenti di Parigi: emblematica è a riguardo la scena del primo viaggio in taxi, nel quale i monumenti di Parigi assumono posizioni differenti in base al punto di vista dei protagonisti.

Invecchiare significa per Zazie subire il passaggio del tempo ma non maturare, visto che nel caso avrebbe potuto utilizzare il verbo grandir. La sua è una constatazione biografica, biologica e che non concerne la maturità del personaggio. La formazione di Zazie non avviene, invecchia, subisce una trasformazione data dal tempo e ciò appare un po’ come una minaccia. Il passaggio dall’adolescenza alla maturità, elemento fondativo del Bildunsgroman, appare ora, nella Parigi degli anni ’60 e alla vigilia della contestazione giovanile, come la riduzione ad un mero passaggio temporale privo di maturazione. 

Nel corso del romanzo Zazie martella di domande gli adulti: essendo inesperta del mondo vuole conoscereEd ecco le continue domande sulla presunta omosessualità dello zio Gabriel, sulla vita sessuale di Charles e della vedova Mouaque, ecc. Zazie vuole fare esperienza e conoscenza del mondo, ma gli adulti si sottraggono alle sue domande e ciò impedisce non solo la comunicazione – si veda, a tal proposito, il saggio ormai incountornable di Roland Barthes dal titolo Zazie e la letteratura [8] – ma anche la formazione della stessa Zazie. È tutto il mondo adulto che Zazie tampina per avere risposte e indicazioni, ma che invece si sottrae a questo ruolo esemplare e paradigmatico di guida. Emerge una questione che da lì a pochi anni sarà fondamentale, nevralgica. Il mondo adulto degli anni Sessanta si è sottratto al ruolo formativo nei confronti della gioventù del tempo, oppure assume un ruolo che la gioventù del tempo non riconosce più: a breve si avrà il ’68 e una rottura che sarà traumatica. E non è difficile immaginarci Zazie, ormai ventenne, tra le fila degli studenti della Sorbonne Université

Il percorso di Zazie nella Parigi del tempo si identifica come un’erranza nella quale nulla si rivela, ma tutto passa, tutto trascorre. Questa sorta di discesa – elemento caro ai surrealisti, ma depauperato e parodiato da Queneau nel romanzo del ‘59 – nelle profondità dei locali, tutti situati nel sottosuolo, e, ovviamente, il viaggio con il métro, non provoca in Zazie nessun momento di rivelazione: la piccola non apprende, non cresce. E se il mondo degli adulti è impermeabile alle continue domande di Zazie, la stessa ragazzina rende impossibile ogni tipo di comunicazione, rispondendo sempre con il suo geniale «mon cul». Il linguaggio non è comunicativo; Michel Bigot parla di dialoghi come duelli, susseguirsi di battute che non portano a nessun tipo di comunicazione e, di conseguenza, di crescita formativa. In Zazie non c’è nessun cambiamento profondo che le permetta una maturazione, una consapevolezza.

Nel romanzo di Queneau sono presentate in nuce alcune questioni sociali di grande rilevanza storica: l’omosessualità, la pedofilia, l’alcolismo, la rivolta contro le figure adulte, ecc. Sono temi che proprio le scelte stilistiche, linguistiche, espressive di Queneau rendono leggeri, poiché non vengono indagati profondamente, in virtù di quella «leggerezza» che sarà elemento fondamentale dell’esperienza OuLiPo. Zazie incarna benissimo la quasi gioventù di quegli anni, in un modo anche abbastanza contraddittorio: da una parte è attrice del suo agire che, fuori da qualunque autorità famigliare, zigzaga continuamente nella città. Esprime quindi un’esigenza di libertà e in parte la rappresenta, ma vive anche passivamente la mancanza di attenzione del mondo adulto che non la controlla, a partire dalla madre, che la lascia a Parigi per una storiella di serie B destinata a concludersi subito, ma anche dallo zio Gabriel, il quale preferisce dormire piuttosto che cercare Zazie che, nel III capitolo del romanzo, si perde per le strade di Parigi. Da una parte Zazie quindi rappresenta la libertà – il romanzo, come si è detto, prefigura il movimento liberale degli anni Sessanta – e al tempo stesso c’è però la consapevolezza che questo movimento tagli definitivamente con un accudimento, una cura che era rappresentata tanto dalla famiglia quanto dalla società stessa. 

L’unico personaggio che sembra tenerci alla sua educazione è la vedova Mouaque, peccato rappresenti l’ipocrisia di un mondo borghese dal quale Zazie vuole decisamente affrancarsi polemicamente.

In conclusione, Zazie invecchia e ne prende atto. E l’unico insegnamento che può offrire il capolavoro di Queneau è forse l’impossibilità della formazione, o meglio, la presa di consapevolezza di un’infinita formazione di cui possiamo essere soggetti: infinita perché non ha fine, non si definisce, non si conclude, non si risolve e non ci risolve. In un mondo caotico, in trasformazione e in continuo divenire, è impossibile definire, classificare: non esiste uomo e donna, e il personaggio di Marceline-Marcel lo insegna bene, ma occorre prendere consapevolezza della complessità del reale e imparare a conviverci.

Alessandro Crea


[1] Michel Bigot, Zazie dans le métro de Raymond Queneau, Paris, Gallimard, 1993, p. 11
[2] Raymond Queneau, Zazie dans le métro, Paris, Gallimard, 1959, p. 55
[3] Franco Fortini, nell’edizione italiana de Zazie nel metrò pubblicata da Einaudi nel 1960, traduce con «un tipo»
[4] Di Zazie dans le métro di Raymond Queneau, Louis Malle ne trarrà un film del 1963
[5] Raymond Queneau, op. cit., p. 240
[6] Il riferimento è a Franco Moretti, Il romanzo di formazione, Torino, Einaudi, 1999
[7] Termine che si può tradurre con «vincolo»
[8] Roland Barthes, Zazie e la letteratura, in Saggi critici, «Piccola Biblioteca Einaudi», pp. 80-87, Einaudi, Torino, 1972

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