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«Abbiamo avuto la nostra festa»: i giovani adulti di Andrew O’Hagan

Andrew O'Hagan
Disegno di Giulia Pedone

Effimeri (Bompiani, 2022) di Andrew O’Hagan è un romanzo che parla di ribellione sfrontata e di un’amicizia fatta di musica e di pellicole cinematografiche. Diviso in due macrosezioni – corrispondenti a due epoche diverse e lontane tra loro –, il Bildungsroman dell’autore scozzese rifrange sulla pagina la rabbia della working class, la leggerezza dell’essere giovani e la difficoltà, ma anche la bellezza, di crescere insieme nonostante le paure più angoscianti ma inevitabili.

Tully, Tibbs, Limbo, Hogg e James, detto Noodles. Sono questi i nomi di un gruppo di amici che ricordano molto i “Goonies”; forse quelli scozzesi sono un po’ più sfrontati e meno bamboccioni rispetto agli amici di Astoria, ma di questi ultimi ne conservano la purezza dello sguardo e il forte e sincero sentimento di fratellanza. 

Lo scrittore scozzese Andrew O’Hagan nel suo ultimo romanzo, Effimeri, dà voce proprio al sensibile Noodles, il quale decide non solo di raccontare la propria adolescenza sullo sfondo di una grigia Glasgow anni ‘80, ma di arrivare anche alla contemporaneità, all’età in cui alle feste, alle bevute in compagnia e ai primi rapporti amorosi si sostituisce un presente ben più complesso e imprevedibile, ma che di quella «meglio gioventù» ne mantiene gli aspetti migliori.

Il romanzo è diviso in due macrosezioni, Estate 1986 Autunno 2017. Due stagioni lontane, ma che in qualche modo comunicano tra di loro più di quanto possa sembrare inizialmente.

La prima parte del romanzo è il resoconto di un weekend di ribellione da parte di un gruppo di giovani Holden stanchi, annoiati e che scelgono di evadere dalla sonnacchiosa Glasgow, dalla scuola e dai difficili rapporti parentali: l’altrove è un concerto a Manchester, cronotopo elettivo per dare voce alla propria «gioventù bruciata». 

Nonostante il gruppo sia abbastanza numeroso, i veri protagonisti del romanzo sono Noodles e Tully: il loro legame è fortissimo, caratterizzato da canzoni ascoltate a tutto volume, concerti a cui andare insieme, e tanti, tantissimi film, dei quali i due si divertono a ricordare a memoria più battute possibile costruendo veri e propri dialoghi. In un mondo in cui le figure genitoriali sono conturbanti o del tutto assenti – James ribadisce più volte di aver “divorziato” dai genitori, i quali l’hanno abbandonato dopo il diciottesimo compleanno –, ecco che i due ragazzi, l’uno complementare dell’altro, diventano come fratelli, corroborando un rapporto speciale.

Manchester, e soprattutto il festival musicale che proprio lì si tiene, nella prima parte del romanzo assume la funzione di contraltare rispetto alla città natale dei protagonisti. È lì la sede della libertà, di molti negozi di dischi, di festival, di alcol e di donne con le quali avere i primi timidi rapporti. 

Uno degli aspetti più interessanti del romanzo è sicuramente l’efficacia della rappresentazione cronotopica. O’Hagan rifrange sulla pagina romanzesca moltissimi aspetti sociali e culturali tipici del periodo in cui si dipana la Bildung dei ragazzotti scozzesi, e lo fa attraverso due elementi: il primo è il contesto storico, e quindi sono numerosi riferimenti al thatcherismo, agli scioperi dei minatori e alla situazione di crisi che investe il nord del Regno Unito. Il secondo, invece, è l’ampio ricorso alla cultura popolare, soprattutto cinematografica e musicale. Ecco allora che Effimeri diventa anche una sorta di playlist, un compendio di musica pop che viene ascoltata, prodotta, cantata e citata dai protagonisti: Sex Pistols, The Smiths, The Specials, Cabaret Voltaire, New Order. Anche la Decima Musa trova ampio spazio nel romanzo: Sapore di MieleSabato sera, domenica mattina, e poi ancora, Mona LisaL’EsorcistaIl padrino e Il padrino-Parte II.

Esiste una correlazione tra la morfologia di genere – il Bildungsroman, il romanzo di formazione – e la struttura del romanzo stesso. La seconda parte, infatti, specificamente dedicata al mondo dell’adultità più matura, non avrebbe alcun senso se priva delle centocinquanta pagine dedicate a quel periodo oscuro, pieno di tormenti ma bruciante di una freschezza dinoccolata che è l’adolescenza. Anzi, l’oggi assume proprio valore solo se si getta un bagliore di luce sulla giovinezza perduta ma mai dimenticata:

«Ciò che vivemmo quel giorno fu la nostra storia. Non vivemmo il resto, il futuro, e non avevamo modo di sapere come sarebbe stato. Forse il futuro avrebbe cambiato i nostri ricordi di quel giorno, o forse si sarebbe fondato proprio su quelli, nessuno lo sapeva. Ma sono sicuro di essermi reso conto allora che la storia di quel concerto e di come c’eravamo arrivati non sarebbe mai svanita» [1].

Come si diceva, i giorni a ritmo di punk rock e al sapore di birra saranno non solo fondativi di un’adolescenza a volte scanzonata e divertita, ma anche di un rapporto amicale fra i più puri e onesti che trova spazio tra le pagine di un romanzo che sa raccontare gioie, dolori e cambiamenti con sfumature mai tragiche nonostante la gravità di ciò che succede.

La pagina che chiude le rievocazioni adolescenziali dei Goonies di Glasgow vede un dialogo tra Noodles e l’amico-fratello Tully che osservano dall’alto le luci della città. Inevitabile, per coronare il momento, una citazione cinematografica:

“Ce l’ho fatta, mamma! Sono in cima al mondo”, disse, passandomi la canna accesa.
“In cima al mondo, Tully.”[2]

La frase, pronunciata da Arthur Cody Jarrett nel film La furia umana (1949), ben esemplifica quel sentimento di felicità euforica emblematico di una serata adolescenziale conclusa nel migliore dei modi.

Ecco allora che dalla pagina successiva inizia la seconda parte del romanzo, che ha come titolo Autunno 2017. Sono passati oltre trent’anni: il paese è cambiato, così come sono cresciuti i ragazzi, diventati ora uomini con un lavoro più o meno stabile e una famiglia. Tuttavia, non cambia il sentimento che lega Noodles con Tully. È proprio quest’ultimo che, in una serata autunnale, chiama il migliore amico di sempre: è malato, di una malattia inguaribile, e ha bisogno del conforto e dell’aiuto del suo Noodles per compiere il percorso più difficile di sempre.

All’euforia baldanzosa e sfrontatamente spavalda e corrosiva della prima sezione si sostituisce una seconda parte più dimessa, ma che anche nei momenti più tragici rifrange una leggerezza e un modo di fare tipico della goduta giovinezza.

Tully ha deciso di optare per il suicidio assistito e pensa a James come all’unica persona che riuscirebbe a realizzare questo suo desiderio. Nonostante la parabola esistenziale di Tully abbia un finale inevitabile, nonostante le mille difficoltà e i numerosi momenti critici, spesso i due amici si rincontrano durante tutta la seconda parte del romanzo per parlare del proprio passato, del rapporto creatosi, di una giovinezza irripetibile e di una storia, la loro, capace di lenire anche le circostanze più disperate. 

Quella giovinezza fatta di gioia imperiosa di stare al mondo fa sì che anche l’ultimo viaggio, quello più doloroso, conservi un certain je ne sais quoi di serena e divertita tranquillità. Prima di morire la conversazione tra i due amici e le rispettive mogli, lungi dall’assumere pose melanconiche e disperatamente tragiche, riguarda una top three sui migliori biscotti in commercio. E sul giudizio finale, Tully afferma sorridendo di poterci riflettere in un altro momento: «[…] ci penserò su per l’eternità o in qualsiasi altra sala da tè cosmica in cui finirò dopo il pastiglione» [3].

Fino all’ultimo Tully rimane il giovanotto strafottente di sempre disposto a divorarsi il mondo. Ne è ben consapevole Noodles: «Non saprei dire che cos’è il coraggio, ma deve per forza assomigliare al modo in cui Tully rimase sé stesso. Fece un cenno ad Anna e suggerì di bere qualcosa […]» [4]. L’explicit del romanzo, con l’ultimo gesto di Tully, sottolinea ancora la vitalità disperata di quest’uomo che da lì a pochi minuti morirà in una stanza di Zurigo: «Lui si fermò un momento, si voltò a guardare. Poi abbracciò sua moglie e ci mandò un bacio e si mise a correre per tutto il campo a braccia tese. Corse come un fulmine verso la porta, calciò la palla e quando si girò aveva di nuovo il suo sorriso da campione» [5].

Effimeri è dunque un romanzo di formazione divertente nel ritratto di una gioventù anni ’80 piena di contraddizioni ma gioiosa e, allo stesso tempo, un libro potente, intimo e mai disperato su un tema che ancora oggi fa discutere molto.

Alessandro Crea


[1] A. O’Hagan, Effimeri, Milano, Bompiani 2022, p. 123.
[2] A. O’Hagan, op. cit., p. 148.
[3] A. O’Hagan, op. cit., p. 148.
[4] Ibidem.
[5] A. O’Hagan, op. cit., p. 280.

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