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“The Swimmers”: nuotare per chi non ce l’ha fatta

Due sorelle, due nuotatrici, un paese in guerra, la Siria del 2015, un lungo viaggio fino all’Europa, fino alle Olimpiadi di Rio del 2016.

Disegno di Elena Sofia Ricci

Il film The Swimmers (nella versione italiana Le nuotatrici), di Sally El Hosaini, si basa sulla storia vera delle atlete della nazionale siriana Yusra e Sarah Mardini e sul viaggio compiuto dalle due sorelle per fuggire dalla guerra in Siria.

È il 2015. Yusra e Sarah già stanno pensando di lasciare la Siria per cercare di raggiungere la Germania, ma non riescono a convincere il padre, contrario a farle partire a causa della pericolosità del viaggio. Durante una gara a cui Yusra sta partecipando una bomba colpisce la palestra e cade in piscina, fortunatamente senza esplodere. La sequenza mostra, con un montaggio alternato le reazioni del pubblico, che scappa spaventato e di Yusra che, impegnata nella gara, non si rende conto di nulla finché non si trova la bomba davanti. Il tempo sembra rallentare mentre un’inquadratura ritrae i movimenti subacquei di Yusra che cerca di allontanarsi dalla bomba di fronte a lei e questa continua invece lentamente a cadere, rallentata dall’acqua.

Dopo questo evento le sorelle lasciano Damasco e la Siria insieme al cugino Nizar. Un aereo per la Turchia, per Istanbul, segna l’inizio di un pericoloso viaggio attraverso Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria e, infine, Germania.

Da Istanbul Yusra, Sarah e Nizar decidono di raggiungere Lesbo via mare, affidandosi a un trafficante. Insieme a un gruppo di persone in fuga da diversi Paesi, vengono stipati su un gommone rattoppato, il cui motore ha già inizialmente difficoltà a partire. In mezzo al mare il gommone incomincia a imbarcare acqua: sono in troppe persone, sono troppo pesanti. A nulla serve gettare in mare il superfluo. Per peggiorare la situazione il motore smette di funzionare. Intanto il sole cala sul mare. Il panico è generale, si tenta una chiamata alla guardia costiera greca, che però rifiuta il soccorso: “non è la nostra politica”, dice la voce al telefono. E la voce di Sarah ripete quelle parole – “non è la loro politica”. L’accento posto su questa frase in una scena che mostra intanto la situazione disperata delle persone bloccate in mare su un gommone che rischia di affondare da un momento all’altro, ne sottolinea e denuncia l’assurdità.

La notte però intanto cala. Il mare, nelle riprese di El Hosaini, è spaventoso fin dall’inizio, fin dalla partenza dalle coste turche, quando un’inquadratura mostra la piccola “imbarcazione” farsi strada lentamente tra onde già in partenza troppo grosse. E in mezzo all’Egeo, di notte, mentre il gommone imbarca acqua e il motore si rifiuta di ripartire, il mare fa ancora più paura. Per alleggerire il carico Sarah si lega a una fune e si butta in acqua, subito seguita da Yusra e da un altro personaggio, che appena il motore riparte, non avendo la resistenza fisica delle due nuotatrici, viene nuovamente issato sul gommone. Yusra e Sarah invece restano in acqua, lottano con il mare che le sovrasta, annaspano, cercano l’aria e cominciano a nuotare. Risalire sul gommone avrebbe significato farlo affondare e quindi continuano a nuotare. Il sole sorge nuovamente. A inquadrature più ravvicinate, fino ad arrivare quasi al dettaglio delle mani che si muovono nelle bracciate, se ne alternano altre a campo totale, che ritraggono il gommone e le due nuotatrici dall’alto o dal basso. In un’inquadratura di grande effetto il mare viene visualizzato dal punto di vista di Yusra, mentre risuonano parole ricorrenti del padre che la incoraggiano a concentrarsi, a nuotare, a “fare la sua gara” senza pensare ad altro, e una corsia, simile a quelle delle piscine, compare in mezzo al mare, diretta verso un sole all’alba fattosi bianco-argenteo.

E finalmente si sente gridare “Terra!”, finalmente Lesbo. Le sorelle strisciano stremate sul bagnasciuga.

Dopo essersi ripresi un attimo, i rifugiati lasciano la spiaggia. Un’inquadratura con inclinazione obliqua li ritrae in mezzo a una quantità spropositata di giubbotti di salvataggio. Ed è proprio anche con inquadrature di questo tipo che El Hosaini evidenzia e denuncia la portata di questo fenomeno, di queste migrazioni via mare in cui, come dirà Sarah, sono molti a non farcela. In risposta a quello che poi sarà il loro allenatore a Berlino, che considera Sarah e Yusra delle eroine per quello che hanno fatto in mare, Sarah ribatte infatti di non sentirsi un’eroina, ma di sentirsi solo fortunata per avercela fatta, al contrario di tante altre persone.

Da Lesbo il viaggio delle sorelle e di Nizar continua, fino ad arrivare, finalmente, a Berlino. Qui trovano una palestra e un allenatore, Sven. Allenandosi con lui Yusra riesce a qualificarsi alle olimpiadi di Rio. Non però con la Siria, ma con la neonata squadra dei rifugiati. Sarah lascia invece il nuoto e decide di tornare a Lesbo ad aiutare i migranti che arrivano via mare, a fare in modo che al loro arrivo abbiano acqua, cibo, accoglienza, tutto ciò che lei, Yusra e il loro gruppo non hanno avuto. 

Le olimpiadi arrivano. Sarah fa una sorpresa alla sorella e la raggiunge: non nuotare per te, le dice, nuota per papà e Sven che volevano andare alle olimpiadi e non hanno potuto, nuota per me che non ce l’ho fatta, nuota per tutte le persone che (in mare) non ce l’hanno fatta. E per loro nuoterà Yusra, tra inquadrature subacquee che sostituiscono al costume olimpico il giubbotto di salvataggio indossato durante la traversata in mare e bracciate il cui suono ricorda quello di proiettili o di frammenti di bombe che cadono. Yusra nuota per chi non ce l’ha fatta e, a differenza di quanto accaduto nella realtà, per loro vince le olimpiadi. Ciò in cui la realtà e il film restano legati è però la volontà di Yusra di continuare a rappresentare i rifugiati: alle olimpiadi di Tokyo del 2021 si qualifica nuovamente e nuovamente sceglie di nuotare per la squadra dei rifugiati.

Elena Sofia Ricci

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