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La brutalità del gesto: il riscatto di una donna dalla dominazione maschile

Artemisia Gentileschi (1593-1656) è stata una delle poche pittrici del panorama a lei contemporaneo a rappresentare con brutalità e ferocia il soggetto di un dipinto come Giuditta decapita Oloferne.

Fotografia di Philippe Leone

Figlia d’arte, in particolare del pittore Orazio Gentileschi, Artemisia Gentileschi è stata una pittrice italiana della scuola caravaggesca.

Il dipinto, che attualmente si trova agli Uffizi di Firenze, rappresenta Giuditta nell’atto di decapitare Oloferne addormentato, grazie all’aiuto della serva. L’episodio rappresentato si trova nel Libro di Giuditta, contenuto nel Vecchio Testamento e composto in lingua ebraica attorno al II secolo a.C. Giuditta, per liberare il suo popolo e la città di Betulia dal generale assiro, escogita un piano: avrebbe fatto ubriacare Oloferne e dopo che costui si sarebbe addormentato, lo avrebbe decapitato con una spada.

In particolare il quadro, realizzato intorno al 1620, rappresenta da un lato la sofferenza di Oloferne, che, svegliato dal colpo, viene decapitato, e dall’altro la determinazione e la brutalità del gesto della bellissima Giuditta: i colori sono molto decisi, tra il rosso delle lenzuola di Oloferne mischiato al suo sangue e le vesti azzurre (della serva) e dorate (di Giuditta). L’attenzione della luce viene posta sulla scena dei protagonisti e sull’atto brutale dell’uccisione.

Oltre alla rappresentazione del fatto biblico, questo dipinto mette bene in luce, in senso metaforico, il riscatto della stessa artista. Infatti, la caratteristica di tutti i quadri di Artemisia Gentileschi sta nel riscatto personale di un qualcosa che le è stato brutalmente tolto. «Dopo aver subito nel 1611 una violenza da parte del pittore Agostino Tassi (1566-1644), che venne per questo processato, arrestato ed esiliato, la pittrice si sposò e si trasferì a Firenze per sottrarsi allo scandalo» [1].

L’unicità della scena richiama un quadro simile: quello di Caravaggio, Giuditta e Oloferne del 1598-99, che oggi si trova all’interno di Palazzo Barberini a Roma. La differenza di questi due quadri nella rappresentazione dei personaggi è data propria dall’espressività di Giuditta: in quella di Caravaggio, si nota la posa sì brutale ma elegante del gesto e la figura della giovane fanciulla si trova sul lato destro. Mentre la Giuditta di Artemisia Gentileschi è posta in alto, quasi a sovrastare la figura di Oloferne, usurpatore della sua gente. In questo modo la figura è come se togliesse potere ad Oloferne, acquisendo lei stessa un ruolo di donna suprema e dominante.

Esistono anche altre versioni di questo quadro, meno struggenti di quelle di Caravaggio e di Artemisia Gentileschi: le versioni di Fede Galizia e di Lavinia Fontana. Queste ultime sono state presentate in dialogo alla mostra di Fede Galizia (dal 3 luglio 2021 al 24 ottobre 2022) tenutasi nel Castello del Buonconsiglio a Trento.

Esse si trovavano nella quinta sezione chiamata “Giuditte”: «la giovane vedova ebrea offre a Fede il pretesto per rappresentare vesti sontuosi e gioielli preziosi, sulla scia di quanto aveva fatto in Veneto Paolo Veronese» [2]. All’interno di un sipario di plastica a forma di tenda, c’erano tre versioni realizzate da Fede Galizia (1578? – 1630): Giuditta con la testa di Oloferne, della Galleria Borghese (1601); Giuditta con la testa di Oloferne e la serva Abra, di Palacio Real de la Granja de San Ildefonso (1600-1605); Giuditta con la testa di Oloferne e la serva Abra, di Torino, Palazzo Reale, Musei Reali (1605-1610 circa).

La comunanza delle tre versioni sta nella ricchezza dei dettagli e nella resa dei gioielli in modo miniaturistico. Tutti questi elementi sono dovuti agli insegnamenti di suo padre, Nunzio Galizia (prima del 1550 – dopo il 1621), uno dei più importanti miniaturisti del panorama milanese e di Trento. Le tre Giuditte di Fede Galizia sono tutte vestite con una veste bianca, un corpetto e drappi interamente decorati con l’aggiunta di gioielli. Sono acconciate con intrecci di gioielli tra i capelli e indossano una collana e orecchini di perle. Lo sfondo, a seconda della versione, ha un drappeggio rosso o bordeaux. Lo sguardo delle Giuditte è reclinato di tre quarti sulla loro destra e la serva le osserva con fare attento. La testa di Oloferne ricade mollemente appoggiata su un recipiente dorato dove si rapprende il sangue della vittima.

In dialogo con queste versioni di Fede Galizia, è presente la Giuditta con la testa di Oloferne di Lavinia Fontana (1552-1614) del 1600, attualmente ai Musei civici d’arte antica, Museo Davia Bargellini a Bologna. Questa Giuditta, a differenza delle altre analizzate, ha lo sguardo rivolto verso lo spettatore, uno sguardo di ferma risolutezza e determinazione, specchio del gesto della sua mano sinistra che tiene per i capelli la testa pendente di Oloferne. Nella mano destra ha la spada, arma usata per tagliare la testa alla vittima, rivolta verso l’alto. La serva si trova in penombra quasi a mimetizzarsi con lo sfondo scuro. La giovane vedova ebrea indossa un vestito rosso con qualche drappo decorato e i gioielli ricamati sull’abito. Altri gioielli sono gli orecchini di perle e una molletta costellata da qualche perla. Rispetto a quelle precedenti, questa Giuditta nei vestiti è più sobria e lo sguardo è risoluto: questo dettaglio sottolinea il non pentimento del gesto commesso per liberare il suo popolo.

Ecco che dunque la scelta di rappresentare il gesto di una donna come Giuditta non è casuale per le artiste prese in considerazione. Le donne artiste dal XV al XVII secolo non erano molto considerate. «Risultava accettabile che una donna facesse la contadina o la fruttivendola o la macellaia accanto al marito oppure, se lavorava a servizio, la domestica o la cuoca. […] Una donna che disegnava uomini nudi faceva scandalo. La legge non vietava alle donne di diventare “pittoresse”, per dirla con Vasari, ma se queste avessero deciso di farlo si sarebbero assunte tutte le responsabilità, rischiando di andare contro tutto e tutti» [3].

Leila Ghoreifi


[1] Giuseppe Nifosì, Arte in primo piano, Guida agli autori e alle opere, vol. 4, Editori Laterza, Bari, 2014, p. 876.
[2] G. Agosti, L. Giacomelli, J. Stoppa, Fede Galizia, Mirabile pittoressa, Trento, 2021, p. 133.
[3] Giuseppe Nifosì, Arte in primo piano, op. cit., p. 877.

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