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Lavorare strema: “Intolleranza 1960” di Luigi Nono

Nell’Italia dei primi anni ’60, Luigi Nono, con un’opera teatrale di protesta, punta il dito contro la disumanizzazione imposta dalla società: il lavoro, anziché nobilitare, annulla l’identità.

Disegno minatore
Disegno di Elena Sofia Ricci

All’interno della neoavanguardia strutturalista del secondo dopoguerra è sicuramente la figura di Luigi Nono (1924 – 1990) ad incarnare maggiormente l’aspirazione a creare non solo un linguaggio che non rappresenti solo un nuovo inizio nel percorso della cultura occidentale, ma che abbia anche la capacità di incidere sul Reale, andando al di là del fenomeno puramente musicale per investire i territori della politica, dell’ideologia, della storia.

In questa tendenza si inserisce appieno il primo lavoro autenticamente teatrale del compositore veneziano, Intolleranza 1960, che viene definita dall’autore stesso azione scenica. L’etichetta è sostanza. Nono ha l’ambizione di scrivere un brano autenticamente sperimentale, una nuova forma di teatro che sia capace di suscitare una presa di posizione, agendo sul dibattito culturale di quegli anni, sempre vivo ed acceso.

Il titolo stesso, che indica con precisione il tempo della storia, indica la profonda radicazione dell’opera nell’attualità dei primi anni ’60, dove la questione sociale esplode con tutta la sua forza e le ideologie investono ogni aspetto della vita culturale italiana. Nono stesso legherà indissolubilmente le proprie scelte stilistiche, di derivazione seriale, con l’ideologia marxista, in un rapporto di mutuo sostegno e corrispondenza fra la musica d’Avanguardia e le ideologie rivoluzionarie di sinistra.

Le puntuali precisazioni programmatiche da parte di Nono chiariscono le origini e le finalità della musica (oltre alla sua stessa struttura). Intolleranza 1960 nasce dalle riflessioni dell’io-politico del compositore su avvenimenti che segnano profondamente la società di quegli anni: i disastri minerari del Belgio; le grandi manifestazioni di piazza degli anni ’50-’60; la guerra d’indipendenza algerina; l’alluvione del Polesine; le assurdità della vita contemporanea (la pubblicità, la burocrazia, la routine, il bellicismo).

È un’opera di protesta contro l’intolleranza della società sugli individui. La disumanizzazione perpetrata dal sistema capitalistico attraverso lo sfruttamento della classe operaia è esemplificata dalle vicende del protagonista, un minatore, denominato semplicemente Emigrante, che passa dalla miniera alla manifestazione, dal campo di concentramento alla tortura, per poi finire travolto, come tutti, da una grande alluvione.

Il libretto presenta diversi riferimenti, è letterariamente composito. Viene scritto a partire da un’idea di Angelo Maria Ripellino ma mescola diverse influenze testuali, dalla poesia alla memorialistica con brani di: Julius Fucik, Henri Alleg, Jean-Paul Sartre, Paul Eluard, Vladimir Majakovskij, Bertolt Brecht.

La prima rappresentazione avviene a Venezia, al Teatro la Fenice, nel 1961. L’esito è molto discusso, il pubblico reagisce con molta forza alla musica di Nono, non solo verbalmente ma anche fisicamente.

L’azione scenica ha caratteristiche drammaturgiche particolari, sovrappone diversi piani performativi. Convivono fra loro testualità diverse, nuove tecniche scenografiche, le proiezioni delle opere pittoriche di Emilio Vedova. La compresenza, la successione di elementi differenti e la creazione spaziale di una sonorità coesa sono un elemento che Nono recupera dalla tradizione musicale veneziana, mostrando una continuità fra l’opera di Nono e la tradizione.

I personaggi vengono caratterizzati attraverso delle serie dodecafoniche, degli insiemi sonori che definiscono possibilità drammaturgiche. Il tessuto musicale affianca in una dialettica continua grande tensione, l’aspirazione a risolvere, con una qualità più lirica del fraseggio vocale. L’obiettivo è quello di differenziare e creare un’atmosfera attraverso questi campi intervallari, l’articolazione formale prevede tensioni e distensioni.

Il discorso viene frammentato fra le voci, le parole si spezzano attraverso le linee delle diverse parti. La scrittura è interamente basata sulla parola ma per ironia della sorte il significato dei testi si trova spalmato lungo continue fasce sonore che si sovrappongono. Se ne realizza un’impossibilità di piena comprensione che diviene specchio dell’intolleranza disumana del sistema produttivo. L’opera critica con ferocia il sistema industriale, il benessere di pochi che riposa sulle ingiustizie di molti. La musica, con i suoi avvampi rabbiosi, mostra l’insofferenza dei lavoratori per un sistema iniquo e barbaro. Nono è consapevole che l’apparente pace sociale di quegli anni poggia su una violenza di fondo in cui l’identità umana è sacrificata in nome di un mondo che fa dell’incessante e illimitato progresso produttivo l’unico obiettivo e l’unico fine della società.

Mattia Sonzogni

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