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L’immagine della realtà: la tradizione neorealista

Concentrandosi sul vissuto misero degli oppressi, sopravvissuti alla guerra, alla fame o alla prigione, la tradizione neorealista italiana ha saputo tracciare dei nuovi confini nel panorama cinematografico.

Illustrazione di Anna Nicolini

Fra i diversi generi in cui il cinema italiano si è contraddistinto, soprattutto nel secolo scorso, il neorealismo è indubbiamente fra i più importanti. La grande sensibilità umana, sociale e tecnica che questo genere rivoluzionario (e le sue evoluzioni) è riuscito a sviluppare esercita ancora una significativa influenza sul cinema contemporaneo.

Sono molti i registi che hanno arricchito il genere. Alcuni vi hanno dedicato una parte fondamentale e consistente della propria carriera, altri, pur privilegiando un altro tipo di narrazioni, hanno comunque contribuito con titoli molto importanti.

Fra i grandi nomi è possibile citare naturalmente Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, la cui filmografia costituisce una testimonianza quasi storica del dopoguerra italiano e non solo. Oltre a Sciuscià (1946) e allo struggente Ladri di biciclette (1948), entrambi di De Sica, va senz’altro citato il capolavoro Roma, città aperta (1945) di Rossellini. Dello stesso regista, Germania anno zero (1948) segna un momento particolare nella storia del neorealismo postbellico. Distogliendo per un momento l’attenzione dalla situazione italiana, Rossellini racconta uno spaccato della tragedia vissuta dal popolo tedesco in una Germania annientata e rasa al suolo. Un racconto che si pone in piena controtendenza rispetto alle consuete narrazioni di ambientazione bellica.

Il cinema neorealista volge il suo sguardo anche su questioni sociali con radici ben più antiche dell’immediato dopoguerra, soprattutto in riferimento al meridione. Fra i tanti film vale sicuramente ricordare La terra trema (1948), di Luchino Visconti tratto da I Malavoglia di Giovanni Verga insieme a due grandi capolavori di Pietro Germi, In nome della legge (1948), raffinato e a tratti controverso film sulla mafia, e Il cammino della speranza (1950), tragico viaggio di un gruppo di minatori siciliani e delle loro famiglie per oltrepassare il confine francese.

Nel corso della storia del cinema, l’onda neorealista ha continuato a esercitare la sua potente influenza. Nel tempo naturalmente le tematiche sono cambiate, riuscendo a raccontare le più svariate forme di disagio e oppressione.

E proprio questa influenza varca i confini del cinema italiano per far da base alla cosiddetta Nouvelle Vague francese. I registi della “nuova onda” hanno notoriamente attinto a piene mani dalla citata tradizione cinematografica italiana.  Registi come François Truffaut, Jean-Luc Godard ed Éric Rohmer, partendo da un attento lavoro di critica cinematografica portata avanti sui celebri Cahiers du Cinéma, hanno messo in pratica l’idea di cinema sviluppata dai neorealisti.

A mostrare una natura artistica riconducibile allo stile e alle tematiche neorealiste è anche la fondamentale opera di Ken Loach che con la sua lunga filmografia ha sempre rimesso al centro l’attenzione per gli ultimi con crudezza e onestà. Fra gli ultimi suoi lavori meritano certamente di essere citati La parte degli angeli (2012), Io, Daniel Blake (2016) e Sorry We Missed You (2019).

Di grande interesse sono anche lavori più sperimentali come Tangerine (2015) di Sean Baker, che racconta un’intera e difficile giornata di Sin-Dee, una prostituta transgender.

Tornando in Italia, e indietro di qualche anno, il filone neorealista trova nuova linfa in molti lavori importanti. Fra questi si possono citare i lavori di Marco Risi, Mery per sempre (1989) e Ragazzi Fuori (1990). Sullo stesso piano si può certamente collocare il più recente e notissimo Gomorra (2008) di Matteo Garrone.

I film e gli autori da citare potrebbero essere ancora moltissimi. Ma è interessante sottolineare come le nuovissime frontiere del cinema presentino una prospettiva inedita in merito alla lettura di un contesto sociale. Le istanze di inclusività nel mondo del cinema, infatti, trascendendo la volontà di riformare soltanto la dimensione “lavorativa” cinematografica (il riferimento è all’esigenza di inclusività sia fra le diverse maestranze del film sia nello “staff” artistico della produzione), ha esteso il proprio approccio anche alla scelta delle realtà e tematiche trattate.

Il neorealismo (o in generale un realismo) riesce quindi a conoscere sempre nuove vite nella storia del cinema. Certamente espressione di un bisogno o forse addirittura di un’urgenza narrativa, esso è diventato nel tempo un leitmotiv artistico in grado di dare sempre nuova ispirazione e strumenti artistico-narrativi a chi vuole puntare i fari su problematiche complesse.

E pur ammettendo il limite che può trovare una pretesa realista posta in essere da una prospettiva certamente parziale, questo modo di far cinema mantiene la sua importanza, soprattutto nel momento in cui venga garantita e mantenuta una pluralità di prospettive. Una pluralità che aiuta anche a ricordare, tra l’altro, quanto intangibile possa diventare la cosiddetta realtà.

Andrea Faraci

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