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Guido Laremi: una «vita a cercare di andarmene»

Fotografia di Mauel Monfredini

Andrea De Carlo (Due di due, 1989) mette a confronto le soluzioni alla contestazione giovanile sessantottina di Mario, ora agricoltore biodinamico, e Guido, ancora fermo a tirar mattina nell’insoddisfatta notte di un’adolescenza eterna.

Guido Laremi bramava la rovina del sistema borghese da prima che questa lotta scadesse nella moda maoista di opuscoli e spille con cui fronde di giovani scendevano in piazza, calcando strade che pionieri, fino all’anno prima inascoltati, avevano loro aperto. Quando questi rivoluzionari tardivi cercavano conforto sotto l’insegna di un nuovo partito e in idee stampate nero su bianco, Guido evadeva l’ennesima definizione, «si stancava di stare fermo nello stesso posto, discutere troppo a lungo di un solo argomento; aveva voglia di correre in giro, vedere le cose da un altro punto di vista» [1].

L’implacabile frustrazione lo spingeva verso le fazioni più anarchiche, per poi smarcarsi anche da queste, acceso da tutto ciò che gli dava la parvenza di un cambiamento in fieri, irrequieto nella sua incompiutezza. Accanto a lui, Mario subiva la stessa ebrezza della Milano sessantottina in cui i due condividevano il banco di scuola: Guido, però, «lasciava che le sue idee toccassero in modo leggero» quelle del compagno, «le stimolassero a definirsi secondo la loro natura» [2]. L’eccitamento che faticavano ora a trovare negli ideali politici li attirò all’oppio e all’hashish finché un collasso fisico dato da un’overdose in Turchia e la contemporanea scomparsa del marito della madre richiameranno Mario alla metamorfosi necessaria nella maturità: «avevo voglia di reagire, occupare una parte di spazio senza più esitazioni; diventare adulto» [3].

E mentre Mario, restaurando due casolari tra le colline di Gubbio, darà forma concreta alla scelta antiborghese per cui lottava da adolescente, Guido, insoddisfatto dell’Italia, riverserà l’irrequieta fame di novità in giro per il mondo. La parentesi della permanenza alle “Due Case” dell’amico, il fidanzamento con Chiara e la successiva paternità non varranno a placare la sua ricerca, passivamente mossa da emozioni contrastanti. Perennemente teso verso la soglia della maturità, ma intrappolato in un’incompiuta adolescenza, Guido tira mattina in una notte che non riesce a partorire altro che giorni acerbi: «non riesco a sapere cosa avrò voglia di fare tra due mesi, non riesco a mettere radici in questo posto, dopo aver passato la vita a cercare di andarmene» [4].

Gli “ultimi bicchieri” per cui Aldino nel romanzo di Simonetta indugia tra i locali ad affrontare la vita adulta lavorativa tradiscono la stessa passività che segna la ricerca di senso più frenetica e apparentemente attiva di Guido. Entrambi rispondono ai comandi di stimoli affascinanti – il primo tra i bar la notte prima di iniziare a lavorare, il secondo dietro progetti che finisce per fuggire – senza però gravarsi la fatica di concretizzare i propri ideali, permettere che incontrino i confini rigidi della realtà. «Mi ricordavo troppo bene» afferma Mario «quanto avevo sofferto per la mia mancanza di contorni, la vaghezza inconsistente della mia vita e del suo futuro. Sapevo che quasi gli stessi elementi erano all’origine del rimpianto di Guido: che la definizione e la maturità lo intrappolavano quanto avevano liberato me» [5]. 

La frustrazione di Guido è costantemente nutrita dal contrasto tra il non poter vivere unicamente di sogni – l’idealità non potrà mai soddisfarlo – e la sua indisponibilità a scendere a patti con gli angoli severi della realtà, che, nel concretizzarli, limitano inevitabilmente i progetti che infervorano l’animo. L’insuccesso del secondo libro come la noia di una vita quotidiana sono il prezzo per una passione lavorativa e un amore coniugale reali, non più solo immaginati.

«La realtà lo sgomenta, non riesce ad accettare i dati di fatto. Vorrebbe che la vita fosse flessibile come la sua immaginazione e ci rimane male ogni volta che scopre quanto è ingabbiata e rigida invece» [6]. L’instabilità di un simile rapporto conflittuale con la realtà non può che risolversi nell’autodistruzione che Guido troverà nella vecchia Alfa Romeo schiantata su un palo della periferia di Milano nell’ennesima notte che non riuscirà a maturare in giorno.

Alice Dusso


[1] A. De Carlo, Due di due, Bompiani, Milano, 2014, p. 96.
[2] Ivi, p. 76.
[3] Ivi, p. 189.
[4] Ivi, p. 347.
[5] Ivi, p. 363.
[6] Ivi, p. 370.

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