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UN FOTTUTO REPRESSO

Opera di Irene Puglisi

Ancora mezz’ora e questo maledetto turno domenicale sarà finito. Oggi sembrano tutti impazziti. 
Rita Scalzi si stropicciò gli occhi affaticati, poi prese a giocherellare con la penna stilografica, ricevuta in regalo anni prima, al superamento del concorso in Polizia.  
“Piccinelli, chi abbiamo ancora?”, disse rivolgendosi all’agente in servizio. 
“Bassi Emilio, omicidio con testimoni. Il verbale della volante è sulla scrivania, dottoressa”, rispose una voce maschile dalla stanza a fianco. 
Merda, ci mancava anche questa adesso. Vediamo…  
Rita recuperò il fascicolo e lesse, soffermandosi sugli elementi principali: L’aggressore, un pregiudicato per minacce e reati contro il patrimonio, è morto dopo una colluttazione.” Proprio uno stinco di santo, insomma. Ha avuto il fatto suo, non ci mancherà. “Il fermato è incensurato. Gentile con tutti, secondo i vicini.”   
“Fallo entrare”. 
Comparve un uomo a capo chino, che con i capelli radi e la corporatura massiccia dimostrava più dei suoi cinquantasette anni.
“Prego signor Bassi”. La funzionaria addetta alle deposizioni indicò la sedia di fronte, poi digitò i riferimenti riportati sul verbale. “Piccinelli vada pure, me la cavo da sola”. 
“Ma dottoressa…” 
Rita alzò gli occhi e mosse il capo in modo eloquente. 
Vai Piccinè, che questa è legittima difesa da manuale. Che vogliamo fare, lo trattiamo da ergastolano e ci perdiamo tempo in due? 
L’agente comprese l’antifona e tornò alla scrivania a occuparsi d’altro. Rita recitò le formule di rito, prima di procedere a raccogliere la deposizioni. “Ha capito i suoi diritti, signor Bassi?” 
“Sì”. 
Gli sembrò scosso, ma non quanto si sarebbe aspettata. 
“Lei è accusato dell’omicidio di Diego Mazzone, residente nel suo condominio. Dalle testimonianze a verbale risulta che il signor Mazzone l’ha aggredita mentre lei riparava lo steccato dell’area cassonetti…” 
“Lo stavo aspettando”, biascicò. 
“Prego, può ripetere?” 
“Aspettavo Mazzone. Buttava il sacco della spazzatura ogni domenica mattina”. 
Rita si mosse a disagio sulla sedia. 
“Mi racconti dall’inizio…”
“Mi ero portato gli attrezzi e fingevo di lavorare quando è passato, urtandomi di proposito”. 
Gli fece cenno di proseguire. 
“Niente di nuovo, si divertiva a provocare. Ha aperto il cassonetto dell’indifferenziata e ci ha infilato un grosso sacco trasparente. Dentro c’era di tutto: vetro, bottiglie di plastica, lattine, giornali, avanzi della tavola… Lo faceva sempre e non era l’unico strappo alle regole. Parcheggiava occupando due posti e buttava i mozziconi sul balcone dei vicini. E guai a dirgli qualcosa. Diventava subito offensivo, come minimo”. 
Lei annuì. Iniziava a intuire come erano andate le cose. 
“Gli ho strappato di mano il coperchio del cassonetto e gliel’ho sbattuto sul braccio. Mazzone urlava e imprecava, poi mi si è scagliato contro”.
“E lei l’ha colpito con il martello?” 
“Sì, alla tempia: cranio sfondato. È bastato un colpo, sa? Facevo lancio del peso da giovane.” 
Da legittima difesa a omicidio volontario. Le cose si complicano parecchio per te… 
“E quale sarebbe il movente?”, salì di tono, aggrottando le sopracciglia.
“Non ce la facevo più”.
“Si spieghi meglio”. 
“Vogliamo chiamarla esasperazione? Tutti elogiano l’autocontrollo, ma è solo una parola più bella di repressione degli impulsi. I genitori ce lo inculcano da piccoli, per renderci ubbidienti. Poi proseguono le maestre in classe, i preti in chiesa, i capi al lavoro, le mogli a casa. Ci vogliono sottomessi e questo giustifica ogni abuso. È la nuova schiavitù dell’uomo, la gabbia per imprigionare gli istinti, la catena per la nostra natura animale. Oggi si è spezzata, finalmente.” 
“Vuole farmi credere di aver ucciso un uomo perché non faceva la raccolta differenziata?” 
“Lei proprio non capisce cosa voglia dire non sopportare più i soprusi quotidiani. Anche i vostri, sa? Quelli degli agenti che non ti lasciano nemmeno il tempo di far scendere i figli davanti alla scuola, che vogliono solo umiliarti perché sono dei frustrati del cazzo”.
Rita colse il suo sguardo folle, ma realizzò con un attimo di ritardo cosa aveva afferrato. 

Emilio si sollevò di scatto urlando, sudato fradicio. 
La moglie si svegliò di soprassalto e lo insultò con voce impastata. 
“Ma sei impazzito? Che ti succede?” 
“Un incubo assurdo. Ammazzavo due persone”. 
“Nient’altro?” fece lei sarcastica. “E poi cosa diavolo ci fai qui? Devi assillarmi anche quando riposo a casa di mia madre, pace all’anima sua? Che devo fare per stare un po’ tranquilla quando smonto dal turno del sabato notte?”
“Ero agitato, avevo bisogno delle tue pillole per calmarmi. Non ce n’erano più a casa, così sono venuto a cercarle qui e mi sono addormentato”. 
Lo guardò con compatimento. 
“Almeno servissero a qualcosa… Tutto un viavai di sirene oggi, altro che recuperare un po’ di stanchezza.” 
“Non ho sentito niente.” 
“Tu non stai bene, Emilio. Chissà quante ne avrai prese. Lasciami dormire adesso, accidenti a te”. 
Lui si sdraiò, scosso da un fremito di rabbia. Strinse il cuscino con forza e si accorse della stilografica scivolata sotto. Era insanguinata. La impugnò e quel gesto gli risultò familiare. Guardò con odio la moglie girata di schiena e sentì che non voleva più essere un fottuto represso. Mai più.

Racconto di Stefano Baldi
Editing Giorgia Vullo


L’autore
Stefano Baldi

Stefano Baldi, milanese, vive da oltre vent’anni in un tranquillo paese della provincia, con la sua famiglia. Con il nickname Farstone ha esordito sulla piattaforma “Wattpad”, con l’apprezzata raccolta di storie brevi “Plot Twist” e con alcune fiabe.
Nel 2019 ha pubblicato sulla rivista online “I Parolanti” i suoi racconti “Vizi Capitali” e “Cassandra”.
Ha recentemente pubblicato, con Apollo Edizioni, Operazione Carrington.

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