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VE NE DOVETE ANDARE

Opera di Silvia Farina.

Un brano per accompagnare la lettura:

Brano scelto da Mattia Sonzogni

Ci pensi? È dalle scuole medie che ce lo dicono: finisci l’università e vattene a Berlino, vattene a Londra, che ci stai a fare qua, non c’è niente.
Lo dicono con l’aria di chi la sa lunga, si appoggiano allo schienale della loro bella poltrona e danno sempre la colpa a qualcun altro.
E gli sguardi compiaciuti, perché loro non sbagliano mai, non hanno dubbi.
Ma quello che ci stanno dicendo davvero, quando ci dicono di andar via, è che di noi semplicemente non sanno che farsene.

La cucina era avvolta nella penombra. La signora Palumbo avanzò stancamente fino alla finestra e alzò la tapparella quel tanto che bastava perché il dolore che da una settimana sentiva al petto si ripresentasse puntuale a darle il buongiorno. Il sole non era ancora spuntato, l’aria era immobile. Mise su la macchinetta del caffè.
Il suono di una porta che si apriva e si richiudeva giunse dal corridoio. Addio pace, Carla doveva essersi di nuovo svegliata all’alba. Come faceva, del resto, ogni volta che un esame era imminente. Erano periodi che la signora Palumbo non sopportava, perché Carla diventava ancora più nervosa, intrattabile, opprimente.
– Mamma, ti avevo detto che potevo farli io, i piatti. Hai detto di no, e guarda adesso com’è messa la cucina.
“Non mi rompere”, pensò la signora Palumbo, poi disse: – Non ti preoccupare, ci penso io più tardi. Ti sei svegliata presto.
– Sì – disse Carla, mentre cercava i biscotti nella credenza.
– Esci stamattina?
– No, oggi penso di studiare a casa – . Carla riempì di latte una tazza e iniziò a intingervi i biscotti al cioccolato uno alla volta. Ogni tanto alzava la testa e gettava un’occhiata a sua madre. – Ti fa ancora male il petto?
– Sì.
– Ma perché ti ostini a non andare dal dottore? Che ti costa? È dietro l’angolo.
– Ti ho detto che ci vado – disse la signora Palumbo, esplorando l’oscurità fumante della sua tazzina.
– Quando?
– Nei prossimi giorni – . Il dolore iniziò ad attenuarsi. Era sempre così: i sintomi della signora Palumbo svanivano come per magia alla vista del dottor Russo. Spesso era sufficiente sentirlo nominare perché qualunque fitta sparisse.
– Perché non ci vai oggi? Ah – , aggiunse Carla, con il biscotto sospeso a mezz’aria, – sono arrivate le bollette della luce e dell’acqua.
– Che novità.
– Vuoi che me ne occupi io?
– No. Tu devi studiare.
Carla raccolse con cura i resti dei biscotti che giacevano sul fondo della tazza, poi disse a sua madre: – Non ti preoccupare per me. Ora andiamo dal medico, ti accompagno io. Tanto l’esame può aspettare, lo posso sempre provare alla prossima sessione.
– Carla, questo esame lo hai già rimandato un sacco di volte. Ogni volta lo prepari sempre meglio, e ogni volta lo rimandi. Capisco che è l’ultimo, che sei in ansia, ma…
– Non sono in ansia – scattò Carla. – È solo che voglio essere preparata.

– Non sono in ansia. È solo che voglio essere preparata.
– Lo sei – disse Marcello. – Lo sei sempre, alla fine.
Il ragazzo smise di sottolineare e guardò Carla. L’aula studio intorno a loro era quasi vuota. Lei avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ci riuscì. Si chiese perché il suo amico avesse iniziato a guardarla in modo nuovo, strano, e a giocare nervosamente con i capelli ogni volta che le parlava. Gli disse di riprendere l’evidenziatore e continuare a sottolineare, che il prossimo capitolo sarebbe stato il più importante. Marcello non le diede ascolto, tanto quel capitolo era inutile e il prof non lo chiedeva mai, gliel’aveva detto un tizio che aveva fatto l’esame durante la sessione precedente.
Per riempire il silenzio imbarazzante nato dai loro sguardi, Marcello iniziò a parlare delle solite cose, e Carla lo lasciò fare: la crisi, il lavoro che non c’era, la laurea inutile e la loro generazione disgraziata, quella con le spalle al muro, che aveva dovuto costruirsi una vita tra la Grande Recessione del 2008 e la pandemia del 2020.
Carla rimase ad ascoltarlo.
– Ma non bisogna partire per forza, eh – aggiunse Marcello. – Quello che ci stanno dicendo davvero, quando ci dicono di andarcene, è che di noi semplicemente non sanno che farsene. E allora, a quel punto, restare diventa quasi un atto di sfida.

Il dottor Russo si appoggiò allo schienale e raccolse le mani sul grasso addome. Sembrava molto rilassato. – Come vi ho già detto, non c’è nessun problema. Sì, dovrebbe muoversi, camminare di più, ma questo non c’entra con il dolore che ogni tanto avverte, che è totalmente riconducibile allo stress, all’ansia. Signora mia, deve cercare di stare più rilassata, su – . Carla conosceva il medico di base della sua famiglia da circa vent’anni, e non aveva mai sopportato il suo sorriso mellifluo, gli occhi piccoli, i baffi folti, la fronte sempre sudata, il tono paternalistico. In quel momento si rese conto che andare con sua madre era stata una pessima idea.
La signora Palumbo restò in silenzio.
– Non possiamo fare altri esami? – chiese Carla.
– Carla, per piacere, fai parlare il dottore.
– Che bello vedere una figlia che si preoccupa tanto per sua madre – disse il dottore. – Mio figlio mi chiama una volta ogni due settimane. Quando si ricorda.
– A proposito, come sta Federico? – chiese la signora Palumbo. Carla cambiò goffamente posizione sulla sedia. Le chiacchiere di cortesia la innervosivano. Non le sopportava, soprattutto perché non era mai riuscita a imparare.
– Sta bene, quel delinquente. Sta a Berlino, e chi sta meglio di lui?
Carla sospirò. Ci siamo.
– Ah, che bello. E cosa fa?
– Per adesso lavora in un pub. Provvisoriamente.
Ci pensi? È dalle scuole medie che ce lo dicono.
– Ma si sta sistemando, si sta organizzando. E poi fanno bene questi ragazzi, bisogna prendere, partire, andare, andare. Qui non c’è più niente, in questa nazione ormai ci hanno ridotto alla fame – aggiunse il dottor Russo, alzando le mani dal ventre satollo e facendo ampi gesti, che evidentemente indicavano la direzione verso cui si doveva andare. – Che ci stanno a fare ancora qua? Tu che studi, Carla?
– Lettere.
– Aeh. Vabbè, va a finire che perfino tu puoi trovare qualcosa di interessante, se te ne vai… Ecco qua, senti a me, dopo la laurea prendi e parti, vattene. Il più lontano possibile. Il futuro è di voi giovani, anche se spesso non sembrate capirlo.
E gli sguardi compiaciuti, perché loro non sbagliano mai, non hanno dubbi.
– È vero – disse la signora Palumbo.
– Berlino, Parigi, Londra – continuò Russo, con il suo tipico tono cadenzato. – Dovete andare, andare, senza mai guardarvi indietro. Ovunque, basta che non rimanete qua. Questo paese è morto, lo hanno distrutto.
E te lo dicono con l’aria di chi la sa lunga, si appoggiano allo schienale della loro bella poltrona e danno sempre la colpa a qualcun altro.
– Scappate. Copenaghen, Tunisi, Algeri. Ovunque è meglio di qui.
– Ok, però non si arrabbi…
– Leopoli, Timbuctu, Bangkok… Ho un amico a Bangkok, lo sai? Si è sposato con una ragazza thailandese, dice che lì si sta benissimo. Quello è il futuro…
Carla annuì, senza aggiungere altro.
– Senti a me, piccere’, ci vuole spirito d’iniziativa. Signora, ma com’è che questi ragazzi non hanno lo spirito di iniziativa che avevamo noi?
– La colpa è del cellulare. Stanno sempre davanti a quel cellulare e si dimenticano lo spirito di iniziativa.
– Perché non vai a Berlino pure tu? Forse mio figlio ti può trovare un posto nel pub dove lavora lui…
– Pensaci, Carla. Siete molto gentile, dottore.
– Quindi non crede che ci sia bisogno di un altro esame? – provò a chiedere Carla, disperata.
– Ma quale esame? Ti ha detto che non ho niente! Ma perché non pensi ai fatti tuoi? – sbottò infine la signora Palumbo.
Il dottor Russo sorrise di nuovo. – Su, su, non litigate. Non vi stressate, signora, mi raccomando. E tu, piccere’, pensa a quello che ti ho detto – disse, poi rispose al telefono.

Tornando a casa, Carla camminò molto più velocemente di sua madre. Sentì di detestarla per come si era comportata prima, e pensò che in fondo suo padre aveva fatto bene a lasciarla.
Voleva solo tornare nella sua stanza e mettersi a studiare, o magari no, magari avrebbe potuto riprendere domani. Le venne voglia di scrivere a Marcello, raccontargli cos’era successo. Le erano venute in mente le sue parole, mentre il dottor Russo parlava.
Quello che ci stanno dicendo veramente, quando ci dicono di andarcene, è che di noi semplicemente non sanno che farsene.
Chissà che ore erano a New York, in quel momento. Troppo presto, probabilmente l’avrebbe svegliato. Senza rendersene conto accelerò il passo ancora di più. La signora Palumbo le arrancava dietro cercando qualcosa da dire, ma non le venne in mente niente.

Racconto di Roberto Oliva
Editing di Martina Marotta


L’autore

Roberto Oliva è nato ad Ariano Irpino nel 1993. Laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università Federico II di Napoli, è appassionato di musica, cinema, calcio e delle cose che rimangono in sospeso. Ha pubblicato due romanzi: Una canzone dove andare (Cultura e dintorni Editore, 2015) e Il momento giusto (0111 Edizioni, 2017). È stato finalista al Premio Letterario Internazionale “Napoli Cultural Classic 2020”. Da qualche anno collabora con le riviste online Elapsus e BreakOff, dove ha curato la rubrica di racconti e recensioni letterarie “Paper Tigers”.

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