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LA VERA STORIA DI ACHILLE E LA TARTARUGA – II PARTE

Opera di Silvia Farina.

Questo è un racconto due parti. Per leggere la PRIMA clicca qui.

Brano scelto da Mattia Sonzogni, editor musicale.

La tartaruga proseguì il suo racconto – Io tacqui e restai in attesa. E Siddharta disse:
“Io credo che per capire l’Essere, devi pensare all’essenza. Qual è l’essenza di qualcosa? Esattamente ciò che permette a quella cosa di esistere, di essere proprio ciò che è”. Mi disse che dovevo pensare a un oggetto e immaginare cosa, se gli venisse sottratto, gli toglierebbe ogni possibilità di esistere. Ecco: quel qualcosa è la sua essenza.
– Ora sono io che non capisco – intervenne stranito Achille.
– Anch’io continuavo a non capire, e allora mi fece questo esempio: pensa a un tavolo di legno. Qual è la sua essenza? Ovvero, cos’è quella cosa tolta la quale il tavolo cesserebbe di esistere?
– Beh… il legno! – rispose prontamente Achille.
– Certo. Allora il legno fa parte dell’essenza del tavolo, non mi pare ci sia dubbio. Se togliessi il legno, il tavolo non esisterebbe. Ma solo questo? Pensa: qualcuno deve avere assemblato il tavolo, messo insieme pezzi senza nome in modo da creare un tavolo.
– Un falegname, ovviamente!
– Certo! Allora ti chiedo: se togliessi il falegname che ha assemblato il tavolo, questo potrebbe esistere?
– No di certo.
– Allora mi pare proprio che anche il falegname faccia parte dell’essenza del tavolo!
– Beh… pare di sì.
– E cosa possiamo dire della madre del falegname? Colei senza la quale il falegname non sarebbe potuto esistere, e quindi neanche il tavolo; non fa parte allora anche lei dell’essenza del tavolo? Voglio dire: se togliessimo la madre del falegname, è certo che il tavolo non potrebbe esistere!

Stavolta Achille asserì senza parlare, colto di sorpresa da questo pensiero che, seppur inconsueto, sembrava una verità.
– Proviamo ancora una volta. – continuò la tartaruga – Pensiamo al grano che ha sfamato la madre del falegname, senza il quale la sua povera famiglia non avrebbe potuto nutrirla e non sarebbe certamente vissuta abbastanza per dare alla luce il falegname. Non fa altrettanto parte dell’essenza del tavolo? Allora il tavolo è fatto di legno, di falegname, di madre del falegname e di grano. E cosa possiamo dire della pioggia e del sole che hanno permesso al grano di crescere? Se togliessimo anche loro, mi pare altrettanto certo che il tavolo non sarebbe mai potuto esistere. Allora anche di Sole e di pioggia è fatto il tavolo!
– Ora basta vecchia, e dimmi dove vuoi andare a parare, che il tempo di correre è quasi giunto.
– Mi sembra ovvio: mi fu evidente allora, come lo è adesso a te, che ogni cosa è fatta di ogni altra. Io sono parte di te, mio caro Achille. Ora lo sai, e sai che se mi mangerai, mangerai te stesso.
– Ma allora, secondo il tuo ragionamento, non dovrei più cibarmi di nulla.
– Non è così: se devi mangiare per sopravvivere, la vita non ti sta dando scelta e allora non hai colpa. La vita vuole solo continuare a vivere e agisce sempre e solo per il suo bene. La colpa c’è quando c’è la scelta, quando si è liberi di scegliere. Ed è per questo che tante persone preferiscono sottomettersi a un capo che decida e scelga per loro. Perdono la libertà, è vero, ma con quella, anche la responsabilità della scelta, e così non devono più preoccuparsi delle proprie azioni. Anche i nostri potenti signori, in fondo, fanno lo stesso, resi schiavi del loro stesso potere, non hanno scelta. Guarda un po’ dove siamo io e te! Un semidio contro una tartaruga per affermare il potere di qualcuno. Pensi che Parmenide mi avrebbe sacrificato se avesse avuto scelta? O che Marte avrebbe accolto la folle sfida di un ubriaco se non perché costretta dal potere che deve difendere? È così che va il mondo, si dicono; è la loro frase preferita. E l’hai detta anche tu stesso poco fa. Lo dicono mentre ingannano, truffano, derubano o uccidono, come fosse una formula magica che gli ripulisce la coscienza, come se non fossero loro a scegliere le loro azioni, ma il mondo a costringerli a farle. Tuttavia, si dichiarano liberi e potenti. La differenza tra nutrirsi e uccidere, o tra difendersi e assassinare, sta tutta nella possibilità di scegliere. Nella libertà, in fin dei conti. Quella di cui tu ti vanti tanto.
– Mi spiace vecchia, dico davvero. – rispose Achille, come se qualcosa lo avesse profondamente ferito – Ma io devo vincere. Non per la tiranna di Focea o per i Persiani di Ciro, ma per me. Se perdessi contro una tartaruga, il mio onore e la mia fama sarebbero distrutti. Non esisterebbe più l’invincibile Achille.
– Già, oh potente Achille. Pare proprio che tu non abbia scelta.

Ora, non si sa precisamente cosa fu a spingere Achille a fare quel che poi fece. È possibile che si fosse davvero reso conto che la tartaruga, come ogni cosa del resto, fosse parte di lui e lui di lei; gli astanti, riportano le cronache, dissero di aver visto Achille d’un tratto guardare la tartaruga con gli occhi lucidi di lacrime.
Però ti svelo una cosa che di certo lo colpì profondamente: lui, l’uomo intoccabile, il più forte del mondo, e che per questo si vantava d’essere il più libero degli uomini, era privo di una libertà: non poteva scegliere di perdere. Si era reso d’un tratto conto di essere servo del suo stesso potere.
– Cara amica – disse infine Achille, arrendendosi a un sentire tanto inconsueto quanto potente – come ho potuto ingannarmi così fino a ora? Io che mi credevo tanto libero ora non sono libero di perdere questa sfida, e schiavo del mio stesso nome uccido me stesso!
– Se fossi davvero schiavo, non avresti colpa nel vincermi: ed è questa la buona notizia; proprio perché tu stesso ti sei fatto schiavo, puoi anche renderti libero. Sta proprio qui la scelta, ed è una scelta possibile, altrimenti non ti sentiresti in colpa adesso.
– Dunque cosa vorresti, piccolo demonio, che ora io scelga di distruggermi?
– Non deve necessariamente andare così, mio caro Achille. Distruggere o essere distrutto sono le alternative che il potere stesso ti concede, e in entrambi i casi così ti sottomette. Vi è una terza via: comprenderne la debolezza e sfruttarla.
– Ovvero?
– Guardaci, fratello mio! Guarda questo luogo, queste persone, quei potenti che attendono la nostra farsa come fosse la guerra delle Termopili. Immagineresti una situazione più stupida?
– Certo tutto questo è davvero ridicolo.
– Allora ecco, la stupidità è il punto debole del potere. È solo una gara ottusa e infantile tra bimbi avidi e capricciosi che vogliono sentirsi i più bravi. E proprio come bimbi dobbiamo trattarli: inganniamo la loro ottusa avidità con l’astuzia della ragione. Solo così sarai libero dal loro controllo e da te stesso.
– Che cos’hai in mente, vecchia?
– Usare l’orgoglio del mio padrone e della sua rivale contro loro stessi.
– In che modo?

Fu così che tutti, compresi Parmenide e Marte, videro da lontano Achille inginocchiarsi e avvicinare l’orecchio alla vecchia tartaruga. Poi Achille tornò al suo posto e a gran voce la tartaruga chiese di avere qualche metro di vantaggio, in rispetto della natura che le aveva fornito arti ben più corti di quelli del campione di Focea.
La potente Marte storse il naso affermando che, sebbene la tartaruga avesse arti più corti, ne usava ben quattro per correre, contro le due sole gambe di Achille. Parmenide, per non darla vinta alla Persiana, propose di sentire cosa ne pensasse Achille.
– Oltre che per la mia forza, sono famoso anche per la mia magnanimità – rispose Achille – dunque questa piccola concessione non potrebbe che giovare alla mia gloria. Tuttavia, mia signora di Focea, io farò ciò che voi sceglierete per me.
Marte, temendo di mostrare debolezza nel rifiutare quella piccola richiesta, non poté che acconsentire, e così si fece. La tartaruga si posizionò qualche metro più avanti rispetto ad Achille e fu dato il via alla gara.
I due corridori partirono all’unisono e lo spettacolo che ne seguì fu la cosa più surreale a cui si sia mai assistito nel mondo antico. Achille, detto anche “piè veloce”, cominciò subito a guadagnare terreno. La distanza tra i due si riduceva sempre di più, eppure Achille non riusciva a colmarla. Beh, come ormai tutti sapete, pur riducendo la distanza a ogni passo, Achille non riuscì mai a raggiungere la tartaruga, e finì che questa tagliò il traguardo per prima.

Tra le risa incontenibili in cui esplose il pubblico, Marte e perfino Parmenide rimasero sbalorditi e, riavutisi dallo stupore, chiamarono al loro cospetto i due corridori per interrogarli su cosa diavolo fosse accaduto. Come era possibile che Achille avesse perso contro la tartaruga? Furiosi e umiliati, i sovrani minacciarono i due atleti di servirli come portata principale, durante la cena di quella stessa sera, se non avessero fornito immediatamente una spiegazione plausibile dell’accaduto.
– Mio signore – esordì la tartaruga rivolgendosi a Parmenide – quel che è accaduto non è affatto assurdo, e anzi ha una spiegazione assolutamente razionale.
– Che cosa intendi dire, vecchia Zenone?
– Tutto dipende dal fatto che io sia partita qualche metro più avanti! Nel tempo che Achille ha impiegato a raggiungere il mio punto di partenza, io avevo già compiuto un tratto di strada in più che, per quanto piccolo, era sempre un punto più avanti rispetto al mio punto di partenza. Quando poi Achille è arrivato a questo secondo punto, per quanto fosse stato veloce, io ero comunque andata un altro pezzettino avanti. Lo spazio tra me e Achille si riduceva sempre di più, è vero, ma poiché uno spazio può essere suddiviso in parti sempre più piccole e così all’infinito, è naturale che Achille non avrebbe mai potuto raggiungermi. È un fatto matematico incontrovertibile, oh venerabile Parmenide, e certo non potrai negarlo proprio tu, il più razionale tra i sapienti che ha fatto del logos la sua ragione di vita! Quel che avete visto non ha fatto altro che rispondere alle universali leggi razionali che tu stesso, eccelso maestro, primo tra gli uomini, hai compreso e spiegato.

Parmenide, come tutti noi, rimase un po’ stordito dalla spiegazione offerta da Zenone, ma il ragionamento non faceva una piega, e dunque il re non avrebbe potuto negarlo senza con ciò negare tutto il suo stesso pensiero e la sua fama.
Così, pur riluttante, non poté che confermarlo:
– In effetti è assolutamente così! Non poteva andare altrimenti, mia cara Marte!
Dal canto suo, la sovrana di Focea, pur non avendo affatto chiara tutta la faccenda, e men che meno la logica matematica del discorso di Zenone, non voleva e non poteva certo mostrarsi meno sapiente del suo rivale; anche a lei non restò che avallare la spiegazione:
– Certo. Anche a me pare ovvio ciò che è accaduto. Ma resta una cosa da chiarire: a cosa servono la tua grande forza e velocità, oh Achille, se per queste leggi matematiche non puoi battere una tartaruga?
La risposta di Achille era già pronta:
– Non è così, mia signora! La tartaruga non avrebbe mai potuto vincere se fossimo partiti dallo stesso punto, e quel piccolo vantaggio che le è stato concesso ha segnato inevitabilmente la mia sconfitta. Un vantaggio che tu stessa hai concesso, oh magnanima Marte, che certamente conosci le leggi del logos al pari di Parmenide e hai voluto, con questo gesto, mostrare il tuo potere salvando la vita della vecchia Zenone, insieme all’onore del tuo campione Achille.
– Certo, è ovvio. È così che è andata! – e sbottò in una sonora risata per nascondere il suo frustrante imbarazzo.
– Dal canto vostro, oh venerabile Parmenide, con questa esibizione avete visto confermare, senza più alcuna ombra di dubbio, la giustezza del vostro pensiero. – si affrettò ad aggiungere la scaltra tartaruga. – Tutti noi non possiamo che rispondere alle necessarie leggi dell’Essere, come tu c’insegni.
I due potenti, intrappolati nella rete del loro stesso ego, dovettero salvare la vita e l’onore di entrambi i corridori per non perdere il proprio, e ciò che in realtà fu una farsa grottesca venne dichiarata una grandiosa esibizione di sapienza.
Certo, negli anni a venire non mancarono detrattori, in cerca di gloria più che di verità, che tentarono di smontare quel ragionamento tanto paradossale da mettere in discussione la realtà stessa, ma nessuno riuscì a trovarvi un punto debole per molto tempo.

Così l’evento passò alla storia come il paradosso di Zenone, un grande discepolo di Parmenide (certo non si poteva dire che tale ragionamento era stato prodotto da una tartaruga).
Riguardo ciò che Achille e la tartaruga si dissero in segreto non ne rimase alcuna traccia, perché si sa: la storia è scritta dai potenti. Ma la storia che accade è ben altra cosa, e per quanto la si voglia dimenticare, ne resta sempre una traccia.
Dunque, come ti ho detto all’inizio, caro lettore, se l’hai udita è per te questa storia. E se il tuo cuore ha compreso, saprai che non fu un paradosso della logica o un gioco di sapienza. Fu il modo in cui un uomo conquistò la vera libertà. In fondo, è una storia d’amore.

Racconto di Fiorenzo De Vita
Editing di Giorgia Vullo


L’autore

Fiorenzo De Vita è nato a Monza (MB) nel 1977, successivamente si è trasferito all’età di 13 anni nel Cilento, la terra natale dei suoi genitori. Si è laureato in filosofia all’Università di Napoli “Federico II” con il massimo dei voti. Attualmente risiede a Como, dove si occupa di disabilità, consulenza filosofica e discipline orientali di cura. Già autore di un romanzo breve pubblicato nel 2005, dal titolo Il commerciante di pietre gialle – favola sull’io ovvero sull’illusione del potere (Editrice Ibiskos), continua a coltivare la passione per la scrittura. La sua prossima pubblicazione sarà un saggio sulla filosofia del viaggio.

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