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IL MITO DI BUIO E SILENZIO

Opera di Silvia Farina

Un brano per accompagnare la lettura:

Brano scelto da Mattia Sonzogni, editor musicale

Silenzio.
Particelle su particelle si creavano e si trasformavano, prendevano forma i primi atomi, molecole acerbe. Il preludio della creazione.
Chiudi gli occhi, ricominciamo.
Era Buio, lo stesso buio fitto dell’origine dei tempi, quando ancora non c’era l’universo, non c’erano le stelle, i pianeti, c’erano loro: il Buio e un Silenzio etereo.
Buio non era tanto socievole, diceva sempre di aver avuto una “giornata nera” e stava lì per conto suo a riempire il vuoto cosmico di macchie d’inchiostro, come fosse un calamaro risentito.
Silenzio, invece, era molto riflessiva, amava contemplare Buio, ma ogni qualvolta volesse provare a chiedergli cosa lo turbasse, le si spezzava la voce, per cui, come avrete ben inteso, Silenzio non era di molte parole.
A guardarli da fuori erano una caricatura molto buffa: Silenzio delle volte inciampava nel Buio e quest’ultimo iniziava ad urlare “Chi sei, dove sei?”, ma Silenzio, che era esattamente lì, proprio ad un palmo di naso da Buio, non rispondeva.
Avvenne, però, che dal giorno di quel piccolo incidente in poi sapevano di non essere soli. Sapevano di esistere nello stesso Spazio, e che se fosse mancato l’uno sarebbe cessato d’esistere l’altra. Silenzio e Buio erano consapevoli, in qualche strano modo, di essere necessari.
Iniziarono così a definirsi: Buio riusciva ormai a scorgere Silenzio come una piccola ombra fra le tenebre, e Silenzio vedeva Buio nella sua totalità, e amava la sua voce.
Trovarsi non era impresa facile.
Più passava il tempo più i due trovavano maniere ingegnose e rompicapi astuti per potersi identificare. Decisero di creare una mappa: ogni vibrazione prodotta da Silenzio era rappresentata da una nota su un pentagramma. La partitura musicale iniziò, così, a riempirsi di note, pause, solfeggi e chiavi di violino. Una ballata muta in cui ciascuna nota identificava un punto preciso di longitudine e latitudine.
La fase successiva era segnare quelle coordinate nello Spazio. Ma in che modo? Come fissare un punto visibile nel non visibile?
Dopo zelanti giorni di osservazione, Silenzio scoprì, infine, che vi erano delle parti di Buio molto vecchie, create decenni orsono e che col tempo si erano seccate, come un dipinto antico su una parete. Con un piccolo infierire dell’unghia sulla superficie, quella si sgretolava e apriva un finissimo, quasi impercettibile, spiraglio di luce.
Era come se le menti di Mozart e Galileo avessero fatto l’amore e da ultimo fosse stata spiegata la teoria sulla nascita delle costellazioni. Ma per Buio e Silenzio quella non era una rivoluzione astronomica; per loro era una rivoluzione e basta.
Finirono per innamorarsi.
Buio amava mostrare a Silenzio come riuscisse a ricoprire ogni singolo spazio dello Spazio cosmico, e Silenzio si addormentava timidamente poggiata su uno dei tanti lembi di Buio.
Trascorsero migliaia di anni finché, finalmente, Buio chiese a Silenzio di sposarlo.
Muniti della loro carta delle stelle, i due vollero scegliere un nuovo punto nell’ormai neonato firmamento per suggellare la loro eternità. Stavolta fu Buio a decidere le coordinate e, come di consueto, fu Silenzio ad andare sul posto per segnare la meta.
Iniziò a sgretolare con smaniosa precisione quella parte incerta di oscurità che pian piano si lasciava grattar via un piccolo pezzo per volta e si mise ad aspettare.
Peccato che Buio non arrivò mai.
“Quello stupido! È perfettamente in grado di leggere la mappa, perché questa volta non avrebbe dovuto?” Silenzio iniziò a non sopportare più tutte quelle tenebre; intorno a sé era sempre lo stesso scenario: buio a destra e buio a sinistra, buio la mattina e buio la sera. Iniziò perfino a odiare la sua voce.
Da allora, nel vuoto cosmico seguirono giorni cupi come la pece e silenti come le parole dette da un muto.
Silenzio lo cercò invano per giorni, credette perfino che la cartina fosse tutta sbagliata. I punti ora si spostavano nello spazio come se seguissero un progressivo ciclo di trasformazione. E in effetti era proprio così: Silenzio stava osservando le orbite e il moto delle stelle.
Corse quindi a segnare nuovamente i punti corretti sulla cartina, sperando di restituire la via di casa al suo Buio. Lacerò frammenti su frammenti per giorni. Le note sul pentagramma erano ormai una sinfonia confusa, un grido di speranza. E squarciò, squarciò finché…
Luce.
Apri gli occhi.
Un bagliore immenso travolse Silenzio e iniziò ad espandersi nell’area circostante, frazioni di buio crollavano come macerie. Mentre Silenzio correva lungo tutte le coordinate tracciate, la Luce la inseguiva celere creando solchi come fossero le diramazioni dello scheletro di un fiume che arde.
Di Buio non vi era alcuna traccia, non una voce si udì.
Milioni di anni più tardi, le due presenze primordiali svanirono. E malgrado non potessero più vedersi o sentirsi loro sapevano, in qualche strano modo, di esistere e di essere necessarie.
Si narra che per alcune persone, adesso, sia così difficile addormentarsi la notte perché Buio cerca sempre Silenzio e aspetta che si accomodi lì, nel suo spazio indefinito per addormentarsi, poiché forse non sono mai scomparsi del tutto ma solo perduti.

Racconto di Morena Bubbeo
Editing di Martina Costanzo


L’autrice

Nel cuore Calvino e con l’animo cinico altresì romantico di Woody Allen, Morena Bubbeo non ama molto la sonorità del suo cognome e vede la vita con gli stessi colori dei film di Wes Anderson. Classe ’99, è nata e cresciuta in Sicilia a “pane, Divina Commedia e Pavarotti” dalla nonna Lucia, è insegnante di lettere e coltiva la passione per la letteratura. Dopo una serie di scelte discutibili e viaggi strampalati ora studia a Torino presso la scuola Holden e vive una vita felice facendo del pessimo sarcasmo e quello che ama di più nella vita: scrivere.

1 commento su “IL MITO DI BUIO E SILENZIO”

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