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IN VINO VERITAS

Come tutte le sere usciva di casa sgraffignando qualche soldo dalla borsa della madre e attraccava attorno ad uno dei banconi dei bar del centro, regolarmente pieni di uomini distinti e di signore ben vestite. Ovunque andasse conosceva il barista, e ogni barista non poteva che alzare le sopracciglia e sbuffare quando lo vedeva. Non un’altra volta, ti prego.
Appena arrivava ordinava una birra, a quelli come lui non serviva altro. Il sottobicchiere scivolava sul legno lucido del bancone e poco dopo si trovava davanti una bionda schiumante. Gli piaceva parlare con i baristi, pensava che tra di loro ci fosse un buon rapporto, di fiducia, quasi di amicizia. Raccontava loro del lavoro che non voleva trovare perché tanto sua madre guadagnava per entrambi, raccontava loro della sua disperata vita sentimentale, che si riduceva a voli pindarici e ad una masturbazione solitaria.
Chiedeva come stavano le fidanzate, le mogli, i figli, le famiglie, concedendosi confidenze che non gli spettavano.

Come tutte le sere quando il locale iniziava a riempirsi lasciava i baristi in sottocoperta, troppo indaffarati, pensava, e si rivolgeva verso la clientela. Tutti questi borghesucci boriosi che navigavano tra i tavoli. Non sapevano cosa volesse dire essere davvero umili, essere una brava persona, come lui. Si riempivano la bocca di moralismo che non sentivano proprio, parlavano per fini allusioni a nascondere la loro perversione e si scandalizzavano di fronte a gesti che sentivano come fuori luogo. Non sapevano niente, poveri scemi.

Come tutte le sere stava in silenzio, e guardava. Osservava avidamente le forme delle sue coetanee, le finte buone maniere degli uomini, le coppiette felici, i giovani amanti, le puttane d’alta classe. Durante i suoi appostamenti gli capitava di rivedere persone con cui aveva già attaccato bottone e si invaghiva sempre di qualche donna.

Quella sera al bancone naufragò una scolaretta mora, era stanca, ma continuava a sorridere e gli rivolse uno sguardo amichevole. Questo segnale gli diede il via libera. Subito si propose per offrire da bere alla signorina. Lei ringraziò aggiungendo un paio di denti al suo sorriso. Le chiese di ballare e lei, visto il fondo del suo bicchiere, accettò, lo aveva scambiato per uno di quei poveri borghesi. Tornati al bancone parlarono molto, risero molto, si scambiarono qualche piccola confidenza. Era troppo facile, pensò. Iniziò a toccarle la gamba, ad accarezzarla, a dirle che una bella scopata con lei se la sarebbe fatta. Lei continuava a sorridere, ma i denti cominciavano a diminuire. Lui chiedeva perdono per i suoi commenti infelici e qualche dente tornava, stentato. Tornò su argomenti neutri, il tempo, la crisi politica, il sesso, la moda, le forme cascanti delle donne di mezza età e quelle arrapanti delle ragazzine. Nel mentre la ragazza, Bianca, si faceva rossa in viso e avrebbe solo voluto scappare. Un ragazzo venne a chiederle di ballare, e per lei aveva la faccia di una scialuppa. Torna dopo, mi raccomando, certo Lorenzo, sarò da lei tra qualche istante.

Quella sera la vide ballare, le guardò le gambe sensuali che si muovevano, i seni che saltellavano nei passi più arditi, i denti, che erano tornati a brillare di nuovo tutti insieme. Con un ubriaco che gli sedeva accanto faceva commenti poco lusinghieri sulla ragazza. Una bottarella gliela darei, beato chi può allungare le mani su quel bel culetto. L’ubriaco rideva con lui e rincarava la dose, facendo diventare le piccole guance di Bianca le guance di una troia.

Tornò al bancone seguita dal ragazzo. Stavano proprio bene insieme, erano belli, giovani, arrapati, sognanti. Lasciò che il ragazzo offrisse il secondo giro a Bianca e trattenne la mano dalle gambe della ragazza. Questi borghesi sono così suscettibili certe volte. I tre parlarono amabilmente del più e del meno, ma la lingua di Lorenzo era tagliente. Cominciò a denigrare il ragazzo, a fare battute sconce con lui non appena Bianca andò in bagno, perché tra loro, s’intende, c’era quell’intesa tipica degli uomini quando si tocca l’argomento. Ricominciò a mostrarsi carino e sorridente con lei non appena lui si allontanava a salutare uno dei pinguini che giravano per il locale. Le chiese di ballare, le labbra di lei articolarono un rifiuto così duro e sprezzante che non fece vedere nemmeno la parte dei denti più lontana dalle gengive. L’unica parola che riuscì a sentire nel fumo della propria indifferenza fu cazzate. Dalla sua lingua quella parola usciva con cattiveria, condita con due occhi che non riuscivano ad esprimere odio, ma sapevano di rabbia, di mancata pazienza, di chi è troppo buono di cuore per non sopportare gli abusi, di amore. Le diede della puttana, rise della sua stupidità, perché questi borghesucci non capivano mai niente.

Ludovico tornò al tavolo richiamato da uno sguardo di supplica della ragazza.
Ascoltò la risata del vecchio bavoso, guardò la sua Bianca che versava lacrime innocenti, era bellissima. Lo prese per la collottola e lo trascinò fuori dal locale, lo picchiò, lui rideva, lo picchiò più forte, più forte ancora, finché la risata di Lorenzo non si spense in un ghigno soffocato di saliva e sangue.

Sputò per terra, guardò il ragazzo chino a consolare Bianca, andò a casa. Tra le vie che danno sul fiume pensò che non aveva fatto nulla di male per meritarsi quelle botte. Era tutta colpa di quella ragazza troppo sensibile e del suo angelo custode con la faccia da coglione. Rientrò con la mascella dolorante, aprì la borsa di sua madre e ci rimise dentro il resto di quello che aveva preso, perché è questo che fanno le persone oneste. Prima di coricarsi si masturbò pensando con affetto al dolce viso di Bianca.

Racconto di Giordano Coccia

Edito dall’Associazione Culturale Lampioni Aerei



L’autore

Giordano Coccia è nato il 12 luglio 1997 a Bergamo, dove ha frequentato il liceo scientifico L. Mascheroni. Da sempre grande appassionato di letteratura italiana e straniera, attualmente frequenta la facoltà di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano.
Fotografia: © Elena Sofia Ricci



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