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IL VUOTO È PUNTUALE

Opera di Silvia Farina

Un brano per accompagnare la lettura:

Ogni sera legge ad alta voce ansimando. Le parole le danno un piacere fisico. Le piace pensare alla lettura come a qualcosa di necessario: un processo di lubrificazione ad alte frequenze. Il potenziale patogeno di una virgola messa al posto sbagliato non va sottovalutato. Sfogliare un libro è toccare ed essere toccata, in parti che nemmeno sa di avere. Un paragrafo ben scritto può prenderti per la giugulare, sgombrando un capillare alla volta.
Divora interlinee ripromettendosi di darsi il tempo di digerirle, ma la sua è una biologia spietata d’ingestione pervasiva. L’affollarsi di immagini tutte mentali è un’alienazione dolce. Una tendenza cervellotica come fuga, che non è mai una giustificazione, le danza attorno, e rende tutto mediocre. Se la trama parla di donne è tutto più febbricitante: gli uomini, lei, non li capisce. O meglio, dall’esterno le pare di capirli fin troppo bene, bidimensionali come sono, ma non riesce a dare loro una tridimensionalità. Sguazza nel suo sessismo inconsapevole, e, come impermeabile all’idea di alternative, rifugge la complessità.
La quotidianità è una follia. Ogni notte sogna di suicidarsi e quando si sveglia pensa di essere morta per almeno cinque secondi. Cinque interminabili secondi.
Quando incontra vecchie conoscenze a volte s’illude che a loro faccia piacere rivederla, ma non è mai così. È come la goccia residua che precipita da una grondaia: inaspettata e seccante. Inutile attribuire solo alla sua scarsa autostima quelle facce deluse – c’è dell’altro – qualcosa che è andato storto, ma è terrorizzata di scoprirlo.
Irrimediabilmente chi ha lasciato un solco nella sua vita la percepisce come un’ombra spiacevole. Ogni volta immagina il loro volto incuriosito sporgersi da dietro un angolo e quando vedono che c’è lei, dietro quell’angolo, fanno una smorfia insopportabilmente eloquente. A volte quella smorfia sembra la stessa che ha quando si guarda allo specchio: così spiacevole, quindi familiare.
Quando non riesce a dormire ha la sensazione che la resistenza ai suoi ritmi biologici sia paradossalmente più naturale di quelle sei giornate felici di cui ha memoria. E qualcosa stride. Si racconta siano sei perché almeno non si contano sulle dita di una sola mano. E per giornate felici non intende aneddoti epici con persone preziose, ma quelle volte in cui sente che ha permesso a sé stessa di godersi davvero quei momenti.
C’è qualcosa di congenito nella tendenza all’automortificazione: vuoi disperderti, sottrarti allo spazio e smetterla di farti trovare dietro quell’angolo. La tua mente è orizzonte e cunicolo, sei in cima al mondo e l’eco arriva da dentro. La memoria è riverbero quando vorresti fosse silenzio. Lo immagina a parlarle sottovoce all’orecchio di quanto gli manca la Calabria, e soffoca.
Per lei era una grammatica tutta loro, poteva dondolarsi fino alla nausea senza desiderare davvero mai di scendere. Un dondolio criptato e combustibile, che rifrange traffici di cinismo e fantasticherie, entrambi all’apice si annullano. Il moto residuo è cenere. Qualcosa di volatile ma tutt’altro che leggero.
Dovrebbero esserci solo amore e morte, due poli così strettamente legati: l’uno rende l’altro inevitabile a turni alterni. Dovrebbero essere entrambi eterni, finché dopodomani non scriverà un elogio alle cose che finiscono a metà. E mentre riflette sulla sicurezza che idealmente le dà immaginare il mondo in equilibrio su due poli, un’altra parte di sé si commuove pensando alla bellezza delle sfumature.
L’unica cosa saggia è abbandonarsi al flusso: infatti lei non è saggia, e le cose le importano poco. Bisogna guardare le persone negli occhi, non lo si fa abbastanza, si ripete sempre. È un grumo di carne e la coesistenza le interessa più dell’esistenza.

Racconto di Chiara Pitrola
Editing Giorgia Vullo e Martina Costanzo


L’autrice

Chiara Pitrola nasce a Milano nel 1997. Ha studiato Scienze dei Beni Culturali laureandosi con una tesi su un’artista contemporanea emergente che intesse contaminazioni tra linguaggio, immagini e biologia. Il dialogo tra discipline apparentemente distanti è una prerogativa del suo percorso, teso ad un approccio alla diversità come ricchezza. Nel tempo libero rappa sotto la doccia, perde la concezione del tempo in qualche libreria e cucina polpette.

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