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Il sospiro dell’uomo: War Requiem

Fotografia di Filippo Ilderico

La musica come evento comunitario: è questa la bussola creativa di Benjamin Britten. All’indomani della seconda guerra mondiale il suo War Requiem canta i dolori e le speranze dell’uomo moderno.

“La musica non esiste nel vuoto” disse una volta Benjamin Britten nel corso di un discorso pubblico. Per il musicista inglese il dovere della musica è quello di servire gli affetti umani, il compositore nel momento creativo deve lasciarsi guidare dalle possibilità degli strumenti per cui scrive, dall’occasione nella quale verrà eseguito il brano e dal tipo di pubblico che ascolterà quella musica. Per Britten la musica ha senso di esistere in quanto evento sociale formato dalla comunicazione fra compositore, esecutore e pubblico.

Sullo sfondo di queste riflessioni di estetica si staglia l’imponente mole del War Requiem, composto fra il 1961 e il 1962 per la cerimonia di riapertura della cattedrale di Coventry, rasa completamente al suolo da un raid aereo tedesco durante la seconda guerra mondiale.

Questa monumentale composizione nasce per un’occasione specifica: una cerimonia pubblica che manifesta il cordoglio dell’intera nazione e che simboleggia la purificazione ideale dal dramma della guerra. Tutto nella composizione è pensato per il momento dell’esecuzione: l’uso del testo dell’ufficio dei morti giustapposto a nove liriche del poeta Wilfred Owen; la ripartizione dell’organico in tre gruppi strumentali; le sonorità pensate per l’acustica di una grande cattedrale gotica, la centralità della voce umana nell’economia della composizione.

Il Requiem di Britten celebra una liturgia laica dove non viene esibito l’orrore dell’uomo di fronte alla morte ma libera la comunità dal peso schiacciante del dolore attraverso il potente amalgama fra musica e parola. Nel War Requiem è centrale il dramma umano. Esso non viene urlato ne esorcizzato, ma viene accolto e meditato come parte inscindibile dell’esistenza umana.

L’uso della voce ne è rivelatore: lo stile vocale adottato da Britten non è magniloquente ma piano e scorrevole nonostante la grande complessità della scrittura. La musica amplifica l’effetto fonico della parola, così come gli ampi spazi di una cattedrale amplificano un suono, e allo stesso tempo la musica è in grado di imprimere nuova energia alla musica.

L’articolazione del testo si riflette nella struttura musicale aderendovi completamente. La voce, con il gioco naturale di pause e respiri derivanti dalla struttura del linguaggio umano, diventa l’elemento generatore della musica fin dalle prime batutte costruendo un complesso edificio dove su poche parole germogliano in continuazione nuovi eventi sonori. Nel catartico libera me finale questo processo raggiunge il culmine: tutto l’organico orchestrale e corale intona un’ultima struggente preghiera.

La composizione di Britten non celebra la guerra ma è convintamente pacifista. Nonostante ciò per tutto il Requiem corrono sottotraccia delle tensioni, come l’intervallo dissonante di tritono o l’uso di gruppi strumentali differenti per diverse tipologie testuali, che imprimono dinamismo alla musica. La voce umana ci guida in un grande percorso di meditazione sui dolori della guerra ora evocando la gioia ora ricordando il terrore ma senza la pretesa di svelarne il senso. All’ascoltatore è lasciato di rispondere alla domanda.

Mattia Sonzogni

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