La musica di Francis Poulenc è percorsa da polarità continue, specchio della personalità del compositore francese, preda di un’autentica sindrome del doppio. Il segno di questa scissione si riconosce nel Concerto per due pianoforti e orchestra, datato 1932.
Poulenc nasce a Parigi in una fredda giornata del gennaio 1899. Un secolo stava per chiudersi lasciando il passo all’epoca della modernità e della sperimentazione. Nel corso del novecento Poulenc divenne una delle voci più celebri della musica francese senza però abbracciare definitivamente la causa dello sperimentalismo. In un’epoca in cui l’imperativo musicale era l’originalità della voce compositiva rispetto al passato e al presente Poulenc ebbe a dire: “Sono ben conscio di non essere quel tipo di musicista che porta innovazioni armoniche […] ma io penso veramente che ci sia un posto nella musica contemporanea che si accontenta di usare gli accordi di altra gente.”
Il linguaggio musicale del musicista parigino appare sfaccettato in una miriade di tessere stilistiche che vanno a comporre un variopinto caleidoscopio sonoro. I primi passi li muove nel cosiddetto “Gruppo dei sei”, un sodalizio di compositori francesi accomunati dall’ammirazione per la lezione di Erik Satie e da uno spiccato senso anti-wagneriano e anti-impressionistico.
Tra i sei Poulenc fu quello che godette di maggior successo e colui che al meglio ne impersonò lo spirito: esuberanza armonica; colori strumentali audaci ma di grande effetto; una disinvolta libertà nell’accostare il sacro al profano. Tuttavia quest’esplosione vitalistica di suoni convive in Poulenc con un continuo senso di malinconia e nostalgia.
Un conflitto stilistico che riflette una tormentata vicenda personale. Poulenc visse sempre come contrastanti la fede cattolica, a cui aderì con convinzione producendo grandi capolavori di musica sacra, e la sua dichiarata omosessualità.
La produzione di Poulenc affronta tutti i generi ereditati dal canone ottocentesco. Una particolare facilità di scrittura è evidente nella produzione concertistica fra cui spicca il Concerto per due pianoforti e orchestra.
Commissionato dalla principessa di Polignac ed eseguito per la prima volta a Venezia nel 1932 dall’Orchestra della Scala e dal compositore in persona, l’opera recupera la forma sette-ottocentesca del concerto solista risemantizzandone i valori formali.
Il primo movimento presenta un debole ricordo della struttura esposizione-sviluppo-ripresa. Al suo posto, un gioco continuo di eventi sonori, cambi repentini e passaggi virtuosistici. I due pianoforti non propongono alcun tema, le idee musicali sono legate fra loro a pannello. I due strumenti si sfidano e dialogano in continuazione mentre il materiale musicale muta in continuazione.
A dare impulso all’azione musicale sono i continui scarti stilistici realizzati da Poulenc. Ora l’orchestra propone dei passaggi dal sapore barocco, ora i pianoforti rispondono con ritmi dal carattere cabarettistico. Il finale spariglia ulteriormente le carte proponendo sonorità soffuse e ripetitive che richiamano quelle dei Gamelan giavanesi.
Il movimento centrale, un larghetto, si apre su un eco mozartiano per poi, piano piano, assumere le sembianze di una chanson francese. Il movimento finale chiude il cerchio, riproponendo la dicotomia gioia/malinconia di quello iniziale. I pianoforti si scontrano e dialogano in un culmine virtuosistico che termina con una successione armonica brusca e sorniona.
I due pianoforti del concerto di Poulenc diventano l’emblema di una personalità tormentata ma che allo stesso tempo trova la sua ragione d’essere nel contrasto. La commistione fra stili musicali bassi e alti diventa il punto di forza della composizione e del suo autore che, avendo rinunciato ad essere uno, trova nella duplicità la sua vera essenza.
Mattia Sonzogni