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L’estetica di Joni Mitchell: seduzione e sessualità tra testo e musica

Un uomo seduto nella lounge di un hotel ed un’ammaliante seduttrice della notte: sono questi i protagonisti di Raised on robbery di Joni Mitchell (1974), un brano in cui la cantante sfodera la sua tavolozza infinita di capacità linguistiche, riuscendo a convogliare nella musica e nel testo un atto di seduzione attraverso un sound ibrido fatto di parole – perfettamente incasellate nella ritmica rock n’roll del brano – e una voce sensuale ed ammaliante.

Cantautrice e pittrice canadese, nata a Fort Macleod il 7 novembre 1943, Roberta Joan Anderson – è questo il suo vero nome – si è distinta negli anni per la sua capacità di spaziare tra numerosi generi (collaborando con importanti musicisti tra i quali Jaco Pastorius, Pat Metheny, Charles Mingus) in modo del tutto peculiare e per aver ‘dipinto’ la vita – attraverso testi pungenti e melodie liriche e articolate – in tutti i suoi aspetti, personali e sociali, influenzando già agli inizi della sua carriera la generazione americana degli anni ’70, che si stava affacciando a nuovi cambiamenti, non ultimo il tema della sessualità come tabù e la rivendicazione sessuale da parte delle donne.

Il mondo musicale contemporaneo la stima per molteplici ragioni: tra queste vi è la potenza narrativa dei suoi testi. Nel caso specifico della sessualità, Joni Mitchell non è stata solo una delle prime cantautrici a parlarne in modo così aperto da un punto di vista strettamente femminile ma si distingue anche per gli stratagemmi descrittivi utilizzati e per il suo linguaggio, così sofisticato ed elegante da spingere la studiosa M. A. Papayanis ad attribuirle una sua propria “Estetica femminile”.

La particolarità di questa cantautrice risiede nell’apparente contrapposizione tra i testi – in cui desiderio e passione si fanno strada attraverso le parole, con estrema limpidezza e lucidità – e le sonorità raffinate, dolci e malinconiche, riflessive e a tratti asciutte, prive di quei “ritmi seducenti” ai quali si è soliti riferirsi (basti pensare al tango o ai brani latini). Infatti, se proprio si deve trovare una corrispondenza tra il contenuto dei suoi testi e la musica, lo si può fare nella misura in cui si considera il suo fraseggio melodico spontaneo, che passa dall’acuto al grave in modo spesso repentino, immergendosi nell’atmosfera armonica complessiva del pezzo con una vocalità sinuosa, non studiata a tavolino, ma asservita al testo. Un’eleganza inimitabile anche quando il desiderio viene esplicitamente narrato. Una raffinatezza nella ricerca delle parole che si evince chiaramente nella sua recente raccolta Loves Has Many Faces (2014) nella quale l’artista prova a racchiudere per l’appunto le molteplici sfaccettature delle relazioni umane, mostrando anche – indirettamente – come il tema della sessualità possa essere trattato in svariati modi.

Un testo degno di nota è All I Want (presente nell’album Blue del 1971, esempio portante dell’espressione di una sessualità raccontata senza imbarazzo). Qui è chiara l’immagine di un amore liberatorio e non schiavizzante, in cui non appare il desiderio passivo di essere desiderati ma quello di desiderare e sedurre, attraverso un elenco di potenziali azioni da fare con l’altro, utilizzando quello che si potrebbe definire un “corteggiamento mentale”.

In un altro brano, Blue Boy (1977) la cantautrice canadese utilizza ‘tinte’ del tutto differenti per descrivere un atto di seduzione (questa volta attuato dal corpo) nei confronti di un uomo che sembra volerla ad ogni costo. I suoi acuti improvvisi sembrano pennellate di malinconia apparentemente inusuali per un racconto di seduzione, ma assolutamente pertinenti se utilizzate per “colorare” le azioni di una donna che danzerà per il suo uomo, soddisfacendo più volte i suoi desideri di averla per sé, fin quando lei stessa non ne avrà abbastanza.

Lo studioso B. Martin sostiene che, negli anni ‘70, tali espressioni linguistiche costituivano un atto culturale radicale, in sé e per sé: ai tempi, la pura novità di una donna che scriveva testi narrando delle proprie esperienze spesso bastava a generare risonanza culturale. Lo stesso ex marito (Chuck Mitchell) ha affermato: «I ragazzi amavano Joni perché era grandiosa, mentre le ragazze si stavano identificando in lei». Anche se Joni Mitchell ha sempre negato di far parte del movimento femminista, certo è che la sua forte personalità e la sua capacità di mettersi “a nudo” senza curarsi del giudizio altrui hanno probabilmente alimentato – magari senza volerlo – i sogni e i desideri di libera espressione di molte donne della sua generazione e di quella contemporanea.

 Eleonora Gioveni

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