Presentato al festival di Cannes nel 2013, Venere in pelliccia (la Vénus à la fourrure) è un film diretto da Roman Polanski basato sulla pièce Venus in Furs di David Ives, a sua volta ispirata al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch (da cui deriva il termine “masochismo”).
La pellicola, girata seguendo le regole aristoteliche di unità di tempo e spazio, è ambientata all’interno di un piccolo teatro parigino. Il collegamento con il teatro greco si manifesta anche nel parallelo con le Baccanti di Euripide.
Thomas (Mathieu Amalric) sta lavorando ad un adattamento teatrale del romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, Venere in pelliccia. Insoddisfatto da una frustrante giornata di audizioni, si lamenta di non riuscire a trovare un’attrice all’altezza del ruolo di Vanda von Dunajew.
A questo punto, una donna (Emmanuelle Seigner), che guarda caso ha lo stesso nome della protagonista, entra a teatro e, non senza difficoltà, riesce a strappare un ultimo provino al regista. Questi si vede così costretto a impersonare la parte di Severin von Kushemski e quella che pensava fosse una volgare attricetta, si svela perfetta per la parte.
Vanda, durante la rappresentazione, con la sua palpabile carica erotica, scaverà nella psiche del regista cominciando così un gioco dal quale non potranno uscirne tanto facilmente. Lo spettacolo deve essere portato avanti fino alla fine. Il confine tra attrice, regista e personaggi di Sacher-Masoch si faranno via via sempre più ambigui, fino a trasformare Thomas in uno schiavo, in un animale, in un oggetto nelle mani di Vanda.
Thomas, all’inizio del film, ci viene presentato come un regista che ha tutte le caratteristiche del benpensante borghese. È acculturato, sobrio, intelligente (un “intellettualoide” per usare le parole della protagonista) e il suo atteggiamento, troppe volte misogino, richiama un mondo di valori ormai antiquato, dove uomo e donna hanno compiti chiari e diametralmente opposti.
A un certo punto però, incontra Vanda. Nella pellicola, sono costanti i richiami alla tragedia euripidea delle Baccanti: il ruolo dell’attrice sembra accostarsi sempre più a quello di Dioniso, a una sorta di divinità in cerca di vendetta verso chi le ha recato oltraggio. Non a caso nei titoli di testa, tramite un piano sequenza in soggettiva, l’ingresso della protagonista a teatro avviene con un cielo invaso da saette e da tuoni, proprio come vengono descritte nella mitologia le epifanie degli olimpici. Con pregiudizi e insulti verso le donne, Thomas, il nuovo Penteo, si inimica, per così dire, la diva. Il castigo avverrà attraverso un processo graduale.
Questa donna, questa dea, questa Venere, quasi per divertimento sembra dare al regista l’illusione di avere pieno controllo su di lei; la realtà è ben diversa. Man mano che si procede nella visione, ci si accorge di come, tramite una sensualità autoritaria, l’attrice ribalti completamente le gerarchie. Thomas, non soltanto il personaggio da lui interpretato, finisce per diventare lo schiavo di Vanda. Si arriverà al punto che il regista stesso verrà persuaso a impersonare la parte della sua protagonista femminile. Nella tragedia di Euripide Dioniso convince Penteo a vestire i panni da Baccante infondendogli una leggera follia, nel film di Polanski è attraverso la seduzione della donna che l’uomo mette tacchi e rossetto. A Thomas, che ormai incarna la Dunajew, non resta che andare incontro alla tragica fine prestabilita dal suo soggetto: è così che viene legato ad un fallico cactus finto (rimasto in scena da un allestimento precedente) per umiliarsi davanti a Kushemski, ora interpretato dalla donna.
Se nelle Baccanti, Penteo viene fatto a pezzi fisicamente dalle menadi, nella pellicola, lo sparagmos, il sacrificio, l’atto purificativo, avviene attraverso lo smembramento della presunzione autoriale, della personalità stessa del regista messo di fronte alla degradazione morale di sé stesso e del suo spettacolo.
Ora, coperta solamente da una lunga pelliccia, Vanda si ripresenta sul palco esibendosi in una danza dionisiaca attorno Thomas, in seguito alla quale, lo abbandona, totalmente annichilito, legato a quell’assurdo cactus finto.
Simone Noris