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Ascoltare paesaggi: Repòns di Pierre Boulez

Pierre Boulez (1925-2016) rinnova profondamente l’idea di musica. Al centro del suo credo estetico l’idea che il suono debba essere completamente organizzato.

Fotografia di Tobias Keller

L’influenza dell’opera di Boulez sulla musica del secondo novecento è stata intensa e duratura. Assieme al collega Karlheinz Stockhausen nella Darmstadt del dopoguerra diviene instancabile assertore di un nuovo orizzonte musicale. Il trauma della guerra pone i compositori di fronte alla necessità di un rinnovamento totale del linguaggio, i resti del sistema tonale vengono smantellati e inizia la costruzione di un nuovo poderoso edificio sonoro.

La risposta alla crisi estetica generata dal trauma bellico, Boulez la trova nell’opera di un compositore tedesco all’epoca poco conosciuto, Anton Webern, un allievo di Arnold Schönberg che si appropria della lezione del maestro con rigore tecnico e metodologico. Nasce così la serialità integrale. Il materiale sonoro è organizzato secondo precise proporzioni matematiche decise ‘a freddo’ dall’autore che si spoglia da ogni coinvolgimento emotivo. La partitura risulta dall’intersezione di una miriade di punti musicali il cui incontro-scontro è governato da schemi rigorosi.

La prima produzione di Boulez (comprendente titoli quali Structures,  Le marteau sans maître, Pli selon pli , Improvisation sur Mallarmé) si caratterizza per l’adesione totale al nuovo spirito strutturalista. Il linguaggio è spigoloso e respingente, l’ascoltatore percepisce un insieme di suoni in cui è difficile orientarsi.

Dopo questo primo periodo Boulez continua la sua ricerca sonora aprendo nuove frontiere nel campo della musica elettronica. Fonda a Parigi l’IRCAM, il più importante centro per lo studio della manipolazione elettroacustica del suono. Da quest’intensa attività nasce una delle sue opere più celebri, Repons.

Repons consiste in un unico grande brano dalla durata di quasi cinquanta minuti che sfrutta ampiamente le tecniche di elaborazione del suono acustico attraverso la strumentazione elettronica. L’organico prevede un ensemble strumentale sterminato a cui si contrappongono sei solisti: Arpa, Cimbalon, Vibrafono, Glocknspiel/Xilofono e due Pianoforti.

Boulez sceglie i solisti per le loro proprietà timbriche. La caratteristica di attacco e di risonanza di questi strumenti è adatta alla manipolazione attraverso le macchine di elaborazione artificiale del suono. Boulez prevede non solo che i solisti siano amplificati ma tutto l’ensemble. Attraverso la rielaborazione digitale il suono viene plasmato e trasformato per essere poi trasmesso e diffuso nella sala in cui si svolge il concerto. Il compositore si pone come obiettivo quello di evocare un gigantesco mondo sonoro in grado di avvolgere completamente l’ascoltatore.

Il brano è interamente basato sull’idea della trasformazione. Il materiale di partenza è minimo, Boulez sfrutta la sonorità di un unico accordo che però prolifera formando figure musicali inquiete, frenetiche e nervose. Se nel suo primo periodo Boulez aveva tentato in ogni modo di frammentare la pulsazione ritmica fino a disintegrarla in questo brano l’elemento ritmico occupa la scena dominandola in modo rabbioso. Non ci sono idee musicali che guidano l’ascolto. Il materiale musicale è un magma incandescente che si sviluppa senza posa.

Il titolo, Repons, allude alla forma medievale del responsorio dove gruppi strumentali o corali si trovano contrapposti nello spazio acustico in un gioco di domanda e risposta. Simile dinamica dialettica si instaura fra solisti ed ensemble ma ben presto la tecnica responsoria diventa pervasiva di ogni aspetto del brano. Boulez costruisce una foresta di suoni che rimbalzano da una parte all’altra dello spazio acustico. Il fascino timbrico seduce l’orecchio dell’ascoltatore. Il paesaggio non può più quindi essere visto ma ascoltato.

Mattia Sonzogni

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