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Il ciclo mestruale: una lotta al “tabù” attraverso le opere d’arte

Soggetto di questo articolo sono le manifestazioni artistiche volte a “normalizzare” l’idea del ciclo mestruale e a sfatare il concetto dello stesso come argomento scabroso o, peggio, motivo di vergogna e discriminazione.

Disegno di Elena Sofia Ricci

A partire dalla seconda metà del Novecento il tema del ciclo mestruale, da sempre messo da parte perché etichettato come contrario al comune senso del pudore, comincia ad essere sdoganato anche nel mondo dell’arte, arte che essendo forma di espressione e modalità di comunicare si fa pure strumento di abbattimento dei tabù con cui ancor oggi si deve convivere. 

La prima opera che prende il ciclo come soggetto è probabilmente il MenstruationsFilm, un video del 1966 in cui l’artista austriaca apertamente femminista Valie Export è seduta su uno sgabello e lascia che gli spettatori osservino lo scorrere del suo stesso sangue mestruale.  Dopo di lei si susseguono numerose le artiste le cui opere affrontano la medesima questione.

Il sangue mestruale e i genitali, talvolta esplicitamente esposti senza fronzoli, vengono adoperati sì per combattere lo stigma legato al ciclo, ma pure come simboli dell’identità sessuale della donna e come mezzi rivoluzionari per la lotta all’emancipazione rispetto all’oggettivazione del corpo femminile e al ruolo sociale che la donna, convenzionalmente, ricopre.

Per citare solo alcune delle artiste che si sono occupate nei propri lavori di questo argomento basti pensare a Judy Chicago. L’artista statunitense è autrice di numerose opere provocatorie, famosa la sua Red Flag del 1971, una fotolitografia della sua stessa vulva da cui la Chicago estrae un tampone interno intriso di sangue. Lei è pure fondatrice, insieme alla collega Miriam Shapiro, di uno spazio espositivo e performativo dedicato esclusivamente all’arte femminista, la Womanhouse.

Tra le istallazioni ivi esposte, dedicata in toto al tema del ciclo, è il Menstruation Bathroom, ovvero un bagno ricco di oggetti che possono essere utili ad una donna durante le mestruazioni e, soprattutto, stracolmo di assorbenti, alcuni da usare, altri già usati, che affiorano in abbondanza da un cestino della spazzatura macchiati di un color rosso fuoco.

Di natura ancor più esplicita e cruda sono le opere di Tamara Wyndham, autrice delle Vulva Prints (1981), ovvero impronte realizzate periodicamente dalla Wyndham e raffiguranti i genitali insanguinati della stessa artista che, per stendere il sangue, pone direttamente la propria vulva sulla tela. In questo caso, allora, il sangue mestruale non è solo protagonista dell’opera ma anche strumento della sua realizzazione. Le donne che usano il sangue come colore e materia dei propri lavori artistici sono denominate “pittrici mestruali”

Si citano in tal senso Vanessa Tiegs e Jasmine Alicia Carter, ma pure il caso più recente della giornalista Jinha Zahra Dogan, la quale, colpita dalla repressione turca, durante la sua detenzione, durata circa tre anni (2017 – 2019), decide di continuare a scrivere e dipingere, in mancanza di altro materiale, proprio con il suo stesso sangue mestruale.

Le manifestazioni artistiche che pongono al centro l’argomento trattato sono, insomma, molteplici, e sono aumentate, chiaramente, con la crescita del movimento femminista e l’ampliamento del concetto di libertà. 

Fin qui sono state analizzate solo opere di artiste straniere, mentre sembra doveroso affermare che anche in Italia questo filone d’arte con il focus sulla rimozione del tabù del ciclo mestruale – filone artistico definito Menstrual Art o Menstrala – è ben presente.

Si conclude quindi con l’accenno a una mostra di qualche anno fa curata da Manuela De Leonardis insieme a Rossella Alessandrucci, un progetto corale che parte con un primo nucleo di artiste e una prima esposizione nel 2015 ma che si è poi espanso ad un maggior numero di artiste ed è stato ripresentato fino al 2021: Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco

Si tratta di un’esperienza nata a partire dal ritrovamento in un mercatino rionale di alcuni panni di lino che, fino agli anni Sessanta e all’esportazione degli assorbenti di cotone idrofilo dall’America, venivano lavorati, ritagliati e tessuti di nascosto dalle donne che li indossavano durante il periodo del ciclo. Questi pezzi di stoffa, distribuiti ad un gruppo di artiste accomunate dal sesso ma diverse per cultura e provenienza, vengono utilizzati da ciascuna di loro per creare dei pezzi d’arte che facciano riflettere su una serie di questioni sul femminile e che scaturiscono dal concetto del sangue, come pure per abbattere le restanti mura del pudore e mettere in luce questioni quali ad esempio la menopausa o la pubertà. In ogni pezzo sono cucite con un filo rosso le iniziali delle artiste, una firma che vuole sottolineare un forte senso di appartenenza.

Marta Casuccio

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