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Dal Disprezzo di Moravia alla Fedeltà di Missiroli: il tabù dell’amore demistificato

L’amore demistificato è il tema centrale di molta letteratura: nel Novecento, secolo di crisi dei valori assoluti, Alberto Moravia nei suoi romanzi fece scempio dell’idea romantica, in particolar modo ne il Disprezzo. Non mancano esempi contemporanei come il quasi-premio strega Fedeltà di Marco Missiroli.

Disegno di Elena Sofia Ricci

Se c’è una bugia a cui particolarmente si tiene è la narrazione dell’amore romantico: quello dei poeti, quello di Dante, che gli segna la vita. Quello epico di Orlando che finisce, solo per la sua Angelica, per perdere il senno sulla luna. L’amore di Prévert e di tutti i film a lieto fine. Quando si scopre invece che non sempre i rapporti umani sono fatti della stessa materia dei sogni lo si racconta a bassa voce, per non deludere nessuno. Demistificare il mito amoroso è ancora oggi un tabù che costa caro: come rinunciare a ad una cara favola dell’ infanzia.

Nel ‘900, un autore su tutti compie l’atto crudo dello svelamento del mito amoroso con particolare perizia: Alberto Moravia. Nella narrazione dell’immobile borghesia degli Indifferenti, il Moravia tende a fare un racconto delle dinamiche di coppia che, ad oggi, lascia il lettore perplesso, forse turbato. Questo è vero in particolare per due dei suoi romanzi, anche se l’eco del tema è riscontrabile nella maggior parte dei suoi scritti.

Un romanzo particolarmente violento in tal senso è Il disprezzo, edito da Bompiani nel 1954. La trama sembra quella elementare di certi film che avanzano per stereotipi: Riccardo Molteni è uno scrittore che, per assecondare il tenore di vita voluto dalla moglie Emilia, accetta lavori per cui non prova nessun reale interesse. Tra questi è la sceneggiatura di un riadattamento cinematografico dell’Odissea, che porterà la coppia a lavorare a stretto contatto con Battista, il produttore.

Quel che succede durante questa vicinanza forzata il lettore lo capisce subito: Emilia si innamora di Battista, discostandosi progressivamente dal marito, che la ama sinceramente e le è fedele. Nonostante la trama da telenovela, la scrittura di Moravia salva il romanzo di questo rischio. Lo scivolamento del sentire umano nell’autore è talmente fluido da diventare cosa vera, fino ad eludere il filtro della pagina e della scrittura. E non proviamo alcuna forma di resistenza o di inverosimiglianza quando leggiamo che l’amore tiepido di Emilia si trasforma prima in noia e poi in disprezzo.

Nella lettura di questi romanzi, ci appaiono cosa normale i tradimenti, le bugie, le sottrazioni alla coppia, le atmosfere nebulose e morbose. Dell’amore romantico, della salda coppia soddisfatta che costituisce un nucleo unico e ben definito, non rimane nulla. Lo stesso schema- e la stessa identica trama, con qualche modifica non sostanziale- si ritrova nell’ultimo romanzo dello scrittore, ritrovato allo scrittoio il giorno stesso della sua morte, La donna Leopardo.  Anche qui abbiamo, sullo sfondo esotico d’un Africa che si fa territorio inesplorato e subconscio, una coppia turbata da un terzo. Anche qui il marito, Lorenzo, lavora nella redazione dell’elemento di disturbo, Colli, che di fatto è in una condizione socialmente più elevata, esattamente come nel “Disprezzo”.

In entrambi i romanzi, la situazione esterna di tradimento e la situazione interna di frustrazione del protagonista si chiudono con un evento drammatico, ossia con la morte di Colli ne La donna leopardo e di Emilia ne Il disprezzo.

In un’intervista ad Enzo Siciliano riportata da “La Repubblica”, l’amico storico di Moravia parla di quella che dovette essere la concezione amorosa dell’autore: «una metafora del difficile e spesso insondabile rapporto tra le persone. Una sorta di dinamica centrifuga per cui l’ uomo tende a possedere, la donna a sottrarsi, in una spirale avvolgente che induce l’ uomo a una sola certezza: il possesso definitivo ed ultimo è impossibile, se non nella tensione continua a un qualcosa che si sottrae e che si nega» e conclude «L’amore, insomma, come uno stato d’ allarme continuo».

In maniera egregia, il testimone moraviano è stato raccolto da un libro per Einaudi di recente pubblicazione, Fedeltà di Marco Missiroli. La domanda sottesa alla trama è la seguente: essere fedeli vuol dire essere fedeli all’altro o essere fedeli a sé, e quindi alle proprie tentazioni? La coppia immaginata nel romanzo non è una coppia in crisi ma è una coppia che per via di un malinteso, così almeno lo chiamano loro, scopre lo spazio osceno dei sentimenti in declino.

Carlo e Margherita- i due protagonisti- pagano a loro spese l’aver nutrito troppo a lungo il mito dell’amore ideale, così lontano dai palpitanti dubbi descritti dal Moravia. Il territorio distruttivo di questo lato oscuro non può rimanere occultato: e così, un bel giorno, sul loro finto idillio si apre una crepa vertiginosa, quella dell’infedeltà, o della presunta infedeltà ( o della desiderata infedeltà, a seconda dei punti di vista). Al contrario dei personaggi dei due romanzi sopracitati, che non avevano altra via d’uscita dalla crisi se non la morte, le creature del Missiroli riescono a trovare un loro equilibrio, dopo aver disconosciuto l’amore romantico.

Sembra tuttavia di constatare che, nonostante l’esistenza di questo tipo di letteratura, parlare di amore in una certa maniera sia rimasto ancora un tabù, a cui forse ci aggrappiamo con le unghie e con i denti per il nostro umano quieto vivere. Pur non volendo correre il rischio di fare psicologia spicciola, si dirà che di per certo della letteratura, e dell’arte in generale, si è apprezzata da sempre  una funzione consolatoria. E, quando non si voglia definire tale funzione come consolatoria, è necessario ammettere che si debba parlare almeno di una narrazione di fuga dalla realtà concreta. Si dirà, inoltre, che tale reazione di fuga nel racconto o di consolazione nel racconto, è tipico dell’umano. In tale occasione allora converrà ricordare che dell’editoria e del romanzo non va dimenticato il potenziale educativo: non fuga dal mondo quindi ma strumento conoscitivo del mondo.

Serena Garofalo

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