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La lotta femminista di Ghada Amer

Ghada Amer è un’artista egiziana che realizza molte opere accomunate da uno stesso tema: la donna. Le sue tele, talvolta da lei anche ricamate, parlano di femminismo e del ruolo da esse combattuto, che ancora oggi la società tende ad attribuire alla donna e al suo corpo.

Fotografia di Inge Poelman

Nel libro di Sam Bardaouil e Till Fellrath Summer, Autumn, Winter e Primavera: conversazioni con artisti arabi, edito nel 2015, l’artista egiziana Ghada Amer, nota per le sue opere provocatorie sul tema del femminismo, afferma: «Voglio essere conosciuta come un artista maschio britannico o un artista maschio bianco americano, perché riceve molta attenzione».

La donna, nata al Cairo nel 1963, si forma in Europa, in particolare in Francia; lì studia prima all’Accademia di Belle Arti di Villa Arson a Nizza dove nel 1987 ottiene il Diplôme National d’Arts Plastiques e nel 1989 consegue il Diplôme National Supérieur d’Expression Plastique. Nel 1991 si trasferisce a Parigi per studiare all’Institut des Hautes Études en Arts Plastiques e decide di indirizzarsi esclusivamente all’attività artistica. Dal 1996 vive a New York e, nel corso degli anni, ha esposto in importantissime gallerie di tutto il mondo.

La Amer è la prima artista araba donna ad avere diritto nel 2000 ad una mostra personale, dal titolo Pleasure, tutta a lei dedicata, al museo delle arti di Tel Aviv. Ha ricevuto il premio Unesco alla Biennale di Venezia del 1999 e le sue opere sono oggi conservate all’Istituto d’arte di Chicago, al centro Pompidou di Parigi oltre che al museo di Tel Aviv e in altri importanti luoghi di cultura.

La svolta “femminista” nella sua carriera ha trovato origine dal fatto che alcuni insegnamenti a Nizza erano vietati alle donne, e dal rifiuto di un professore di pittura, nell’ambito del master sulle Belle Arti frequentato a Nizza, di ammetterla al suo corso. A questo punto scatta una molla nella personalità della donna che si mette alla ricerca di forme e modalità di espressione artistica non tradizionali. Per questo, anziché scegliere come forma espressiva preferita la pittura, ripescando nella sua infanzia, nei suoi viaggi e nei ricordi di bambina, risale alla passione della mamma, ingegnere agronomo, per gli abiti e la moda artigianale. Prende così ago e filo, non per tessere abiti, ma per bucare e perforare le tele e per renderli strumenti di un nuovo modo di fare arte: il ricamo ed il cucito, mestiere che per tradizione storica e culturale si riconduce allo stereotipo della donna casalinga che realizza corredi e lenzuola matrimoniali e che rammenda gli abiti della famiglia, diventa al contrario elemento provocatorio e rivoluzionario, uno straordinario metodo per conciliare modernità e passato, presente e futuro, mondo maschile e mondo femminile.

Per questo la Amer ha costantemente incorporato il ricamo, il cucito e la stessa tintura all’espressione femminilizzata nel suo lavoro, interpretando la scelta come un sistema per parlare dell’identità storica ed artistica della donna e come una critica dei generi dominati dagli uomini nella storia dell’arte, in cui invece la pittura regna sovrana. In un’intervista al settimanale online Iperarte afferma: «Ho iniziato questo lavoro perché volevo dipingere senza usare la pittura, usando invece una tecnica “femminile” per trasformare l’atto del dipingere. La volontà di trasformare la pittura senza dipingere era molto chiara nella mia mente».

L’originalità dell’idea si accoppia anche alla particolare forza dei temi scelti, nella maggior parte dei casi collegati all’universo femminile e tra questi al tema della forza seduttiva del corpo delle donne, tema che in qualche caso è stato osteggiato dalla critica, specie nel mondo musulmano e in considerazione del fatto che le “donnine” della Amer sono spesso corpi nudi e a volte ammiccanti. Ecco che prendono corpo nelle sue tele, attraverso fili colorati, figure sinuose e sensuali, visi di donna nascosti da altri orditi e tessuti in sovrapposizione. A volte le donne ritratte, spesso in forma seriale e in pose provocatorie, sono presentate attraverso piccole matasse di filo fissate al quadro con gel trasparente. In altri casi l’artista usa la vernice, con questo avvicinandosi alla pittura.

I soggetti sono spesso donne sconosciute, proprio perché all’artista interessa sottolineare l’universalità del ruolo della donna, della sua essenza e vocazione, della missione femminile nella società, oltre che del rapporto con l’essere maschile, con l’erotismo e con le tematiche sessuali e del piacere (famosa la sua Enciclopedia del piacere costituita da 57 tele con traduzioni ricamate di un testo arabo medievale sulla realizzazione spirituale e fisica negli uomini e nelle donne).

In una recente serie di opere, invece, dal titolo Women I Know, la Amer si concentra su figure femminili presenti nel suo ambiente familiare e di lavoro. Si tratta dell’ultimo “filone” dell’artista che ha già fatto due diverse esposizioni sul tema. Nella prima, presentata in una galleria d’arte di Berlino, sono ritratte quattro donne a lei ben note: la sua assistente, una cugina, una studentessa di yoga e sua sorella. In quella serie la Amer inserisce anche un suo autoritratto in bianco e nero, nonché un testo che si affianca o sovrappone alle immagini. Si tratta anche in questo caso di una tecnica innovativa della Amer in armonia con un topos della cultura orientale secondo il quale l’uso della scrittura è di per se stesso un segno figurativo e iconico, un elemento di immagine, al di là del significato sostanziale della scritta, che comunque nei lavori della Amer ha sempre una connessione con il relativo dipinto ricamato.

Nella seconda serie di opere sempre ispirata allo stesso tema, esposta a New York fino all’ottobre 2021, l’artista continua la galleria di immagini di donne a lei conosciute, accompagnandola con l’esposizione di ceramiche e sculture che costituiscono una particolare e contestuale espressione della sua poetica.

La Amer è infatti un’artista poliedrica, che manifesta interesse per molte forme espressive: tra le altre si segnala una particolare propensione per il mondo vegetale e ambientale, se si pensa che l’artista egiziana annovera fra i suoi lavori parchi e giardini quali il Love Park di Santa Fe nel 1999 e il Peace Garden di Miami nel 2002. Sempre con uno stile originale: ad esempio, nel Peace Garden di Miami, il simbolo universale della pace (disegnato da Gerald Holtom nel 1958 per la Campagna per il disarmo nucleare) è realizzato con piante carnivore. Infine, nell’istallazione dal titolo Women’s qualities per Desert X 2021, attraverso una serie di parole come “Resilient, strong, caring, determinated, beautiful, loving e nurturing” l’artista intende far riflettere sulle qualità che alle donne sono state attribuite nel tempo.

Marta Casuccio

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