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Il richiamo degli artisti alla natura: La scuola di Barbizon.

Fotografia di Filippo Ilderico

Tra il 1830 e il 1870 un gruppo di artisti decise di seguire l’esempio del pittore Thèodore Rousseau e trasferirsi in un villaggio a sud della Francia, Barbizon, immerso nella foresta di Fontainebleau. 

I componenti di tale cerchia erano lo stesso T. Rousseau, figura centrale, Charles-François Daubigny, Narcisse Diaz, Jules Dupré, Charles Jacque e Constant Troyon.

Da questo nucleo di persone nacque la scuola che porta il nome del luogo in cui questi artisti si erano ritrovati: la scuola di Barbizon.

Anche Camille Corot e Jean-Francois Millet ne fecero parte. Millet, in particolare, segnò una svolta importante nella storia dell’arte perché fu il primo ad introdurre figure di bassa estrazione sociale in dipinti paesaggistici. Emblema di tale innovazione sono Le spigolatrici (1857), tela che al tempo suscitò l’animosità dell’Ottocento borghese, che lo vide come atto di accusa nei propri confronti. Infatti ne Le spigolatrici, come spesso accade nella sua produzione sulla vita agreste, Millet attribuisce ai personaggi umili una grande dignità e solennità fino a dotarli quasi di un’aura eroica.

I membri della scuola di Barbizon, che si possono considerare in arte come realisti con tendenze romantiche, si riunirono nello stesso luogo perchè animati dagli stessi desideri: la necessità di un ritorno alla natura; la volontà di rappresentarla secondo le sue reali caratteristiche ma anche secondo le emozioni che essa suscita; il bisogno di fuggire dalla realtà urbana e dalla crescente industrializzazione e meccanizzazione dell’uomo. E ancora un ruolo importante lo svolgeva la volontà di mantenere legami forti con le proprie radici e la continua ricerca di un’identità nazionale, sentimenti molto diffusi nella Francia degli anni ‘30.

Tanto grande fu l’amore di questi uomini per il paesaggio che li circondava che nel 1848 crearono la Riserva artistica della selva di Fontainebleau, primo caso di tutela pubblica di un ambiente, sebbene richiesta inizialmente a scopi solo estetici.

Di grande ispirazione per i Barbissoniers furono i pittori fiamminghi e olandesi del Seicento ma soprattutto le opere a tema paesaggistico e rurale che il pittore inglese John Constable aveva realizzato per un’esposizione al Salon di Parigi nel 1824.

Il giornalista Gabriele Nicolò, commentando una mostra tenuta nel 2016 alla Scottish National Gallery di Edimburgo, li definiva «una compagnia di pittori impegnati a scrutare campi e foreste, armenti e greggi per riversare sulla tela il fascino delle variazioni cromatiche». Per poterlo fare al meglio dipingevano en plein air e poi, a differenza degli impressionisti, terminavano le proprie tele all’interno degli ateliers.

Tra i primi membri della scuola a comprendere i benefici dell’arte en plein air vi è Charles Daubigny (1817-1878): questi aveva un così forte desiderio di stare a contatto con la natura, con la terra, da decidere di installare, nel 1857, il proprio studio su un battello, il Botin, dipingere da lì le proprie tele e tentare di rappresentare la fugacità dei momenti, delle correnti, della natura con pennellate rapide. Daubigny potrebbe dunque essere definito un precursore dell’impressionismo: la sua influenza è riscontrabile nei dipinti di Van Gogh e Monet sia per stile sia per l’uso dei colori, in particolare del giallo.

Non è un caso che ben tre dipinti di Van Gogh raffigurino proprio il giardino di Daubigny: l’artista olandese ne era un profondo ammiratore, per questo nel suo soggiorno presso Auvers ne visita casa e giardino e ritrae quest’ultimo nelle sue tele.

In ultimo, un aspetto curioso delle opere di Charles Daubigny è la frequente presenza di anatre: si dice che il numero variasse in base a quanto fosse soddisfatto del suo lavoro, più anatre sono presenti più l’artista apprezzava la propria opera. Si tratta di una sorta di firma attraverso un elemento naturalistico, assolutamente in tema con la predilezione per il paesaggio che pervade tutte le opere dei pittori della scuola di Barbizon.

Marta Casuccio

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