Vai al contenuto

Il canto del sottosuolo: Plutone racconta di Orfeo ed Euridice

Fotografia di Manuel Monfredini
Fotografia di Manuel Monfredini

Tratto da Il cielo di pietra, L’altra Euridice è uno dei racconti che compongono le celeberrime Cosmicomiche di Italo Calvino. Il breve racconto uscì sulla rivista “Gran Bazar” nel numero settembre-ottobre 1980, e presenta il mito di tradizione classica attraverso una prospettiva totalmente inedita.

Il mito narrato da Calvino mette al centro le vicende di Plutone che, dopo molti anni dalla perdita della sua amata Euridice, decide di raccontare agli abitanti della superficie terrestre il vero svolgimento della vicenda, ben lontano da quello più noto.

Sin dalle prime righe si crea una netta distinzione fra le due parti del pianeta Terra: una più superficiale, rivestita da uno “spolverìo di vita”, e un’altra all’interno della crosta terrestre, più autentica e vitale.

Il punto di vista adottato da Calvino, infatti, mostra sotto una nuova luce quello che gli esseri umani hanno sempre genericamente bollato come “sottosuolo”, facendo intravedere un universo quasi parallelo di vita praticamente sconosciuto in superficie.

Plutone ed Euridice, infatti, si muovono tra le sfere interne del pianeta, circondati da cieli fluidi e metallici, e cercano di raggiungere il centro della Terra, il vero centro della vita del pianeta.

Euridice, però, rimane ad un certo punto rapita da una melodia menzognera che sente provenire dallo strato più superficiale e rarefatto del globo, e segue il richiamo di questa musica fino a giungere alla lira di Orfeo.

La musica di Orfeo, già nel mito noto per le sue abilità canore, si contrappone alla musica del sottosuolo: le sue note studiate e fallaci si contrappongono ai clangori metallici che abitano gli strati più interni del pianeta, casa di Plutone ed Euridice.

Senza la sua compagna di viaggio, Plutone è perduto e accantona momentaneamente il suo progetto di raggiungere il cuore pulsante della Terra per andare alla ricerca della sua amata Euridice, con cui avrebbe dovuto fondare un mondo nuovo: un mondo che, partendo dal nucleo incandescente e tenendo conto di tutto il pianeta, e non solo della sua patina superficiale, avrebbe davvero potuto chiamarsi “terrestre”.

Plutone, rimasto solo nel suo mondo silenzioso, non può che contemplare con amarezza una vita superficiale dominata costantemente da rumori, suoni e voci, quasi spaventata dal totale silenzio e dai rumori del pianeta che dominano gli strati più interni.

I jukebox e il duetto di Orfeo ed Euridice diventano allora il riassunto di un mondo che vede ormai vincitori gli dèi dell’Olimpo e che, avvolto da una rumorosa e costante frenesia, non lascia spazio alla riflessione, al silenzio e ai rumori del sottosuolo, la più vera e autentica espressione del canto della Terra.

Giordano Coccia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.