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Il desiderio selvaggio di Macbeth

Nell’adattamento cinematografico di Justin Kurzel, la celebre opera di William Shakespeare viene restituita alla sua dimensione più selvaggia e magica. Superstizione e violenza diventano l’unico riflesso dell’avidità irrefrenabile che comanda sulla propria lucidità.

Macbeth
Fotografia di Giorgio Trovato

Macbeth (Michael Fassbender) è un nobile scozzese e un valoroso guerriero. Grazie alla sua furia e alla sua abilità, l’esercito di Duncan (David Thewlis), buono e saggio Re di Scozia, ha la meglio sulle truppe di alcuni ribelli. Dopo la battaglia Macbeth, insieme al suo fedelissimo amico Banquo (Paddy Considine), incontra tre misteriose streghe che gli predicono prima la sua nomina a barone di Cowdor e subito dopo la sua ascesa a Re di Scozia. Tuttavia, la profezia delle streghe si spinge fino a dire che la stirpe di Banquo erediterà il trono, sebbene egli stesso non diventerà mai Re. Quando dei messaggeri del Re giungono salutandolo come Barone di Cawdor, Macbeth comprende che la profezia era fondata. Questa conferma accende la fiamma della sua bramosia che lo porterà, spinto anche dalla moglie altrettanto crudele e ambiziosa (Marion Cotillard) al terribile omicidio di Duncan, e poi, una volta diventato Re, a quello di Banquo. Macchiatosi dei delitti più atroci come tiranno di Scozia, Macbeth è ossessionato dal suo potere fino alla sua completa rovina di fronte ad un destino cinico che si era illuso di poter conoscere e controllare.

Il regista Justin Kurzel si cimenta in un ulteriore adattamento cinematografico di una delle più famose opere del drammaturgo inglese e che si concentra in modo particolare sul tormento per il potere e l’ambizione. I precedenti sono stati numerosi e anche molto celebri. Primo fra tutti il Macbeth di Orson Wells dove il grande regista americano riuscì a sfruttare le limitazioni produttive restituendo alla tragedia una sua dimensione surreale e mistica proprio attraverso l’essenzialità2.

In questo senso il lavoro di Kurzel sembra in parte debitore dell’opera di Wells. Luoghi e costumi ricostruiti da Kurzel tendono infatti a creare un’ambientazione fredda e selvaggia, ai limiti dell’ancestrale. L’obiettivo sembra voler rendere il più possibile sia una sorta di fedeltà storica sia l’aspetto più archetipico della vicenda. Il tutto viene supportato da una fotografia suggestiva, scura e grondante di colori spenti e sfumati tendenti invece a restituire la fondamentale dimensione magica dell’opera. Il film, probabilmente, sacrifica parte della sua qualità in nome di un’estetica, come è stato notato [1], troppo ammiccante a dei canoni particolarmente mainstream, soprattutto nella sua ossessione per la violenza e la sessualità tradita da diversi cliché (si veda in particolare il fin troppo abusato connubio fra l’uso appunto della sessualità e la persuasione femminile).

Le tematiche affrontate sono ben note. L’opprimente desiderio di potere che conduce i protagonisti fino al totale isolamento e alla follia. Il tutto rappresentato anche attraverso il rapporto chiastico fra il percorso del protagonista e quello di Lady Macbeth. Se è inizialmente il primo a cercare di tenere a freno le proprie ambizioni venendo invece istigato dalla moglie, successivamente è proprio quest’ultima a rendersi conto dell’orrore dei propri delitti mentre il marito viene sempre più inebriato dal suo delirio di onnipotenza.

Il tema della predestinazione in rapporto con l’elemento magico della divinazione diventano tematiche principali sotto più punti di vista. Da un lato il tema è una forma di riflessione, naturalmente, sul concetto di destino in sé. Dall’altro la profezia delle tre streghe diventa una proiezione delle ambiziose fantasie del protagonista. L’immaginazione stimolata dalla divinazione si spinge fino al delirio più irrealistico che porta Macbeth a credere fermamente che nessun essere umano sia in effetti in grado di ucciderlo.

Il desiderio onnivoro ed incontrollabile di Macbeth diventa di fatto una dimensione a sé stante oltre la più palese realtà delle cose. Una dimensione che ricalca per l’appunto l’alienazione e la solitudine scaturenti da un’ambizione disumana.

Andrea Faraci


[1] Cfr. Mereghetti, Il dizionario dei film, 2021
[2] Ibidem

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