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Another brick in the wall è una canzone di protesta?

Another brick in the wall, Pt. 2 è il pezzo più celebre di The Wall (1979) ed è uno dei brani di protesta più famosi della storia; ma per capire il suo reale significato non si può non approfondire il contesto di ideazione del brano e l’idea che si cela dietro l’album che Roger Waters ha costruito basandosi su fatti da lui vissuti in prima persona.

Another brick in the wall
Fotografia di Marcus Urbenz

Another brick in the wall, Pt. 2 è stato pubblicato come singolo nel 1979: dalla sua pubblicazione sono state vendute più di quattro milioni di copie in tutto il mondo e il pezzo è anche stato inserito dalla rivista Rolling Stone nella lista dei «500 migliori brani di tutti i tempi». Il brano è spesso stato interpretato come una protesta contro il sistema scolastico o l’omologazione sociale, ma per capire completamente il messaggio che esso veicola è necessario fare riferimento al disegno dell’intero album. In The wall attraverso 26 brani è raccontata la storia di Pink, una rockstar immaginaria che a seguito di eventi traumatici diventa sempre più solitario e paranoico costruendo un muro che lo divide dalla società e che – cercando di proteggersi – si isola completamente. Nel 1982, dall’idea di The Wall è stato anche prodotto un adattamento cinematografico con la sceneggiatura di Roger Waters.

Nell’album sono presenti, in ordine, tre parti di Another brick in the wall che spiegano e illustrano le esperienze che nel corso della sua vita hanno portato l’artista all’alienazione. Nella prima parte Pink per la prima volta mostra una grande consapevolezza dei suoi problemi e illustra la teoria del muro, spiegando anche la nascita del primo mattone che lo compone: «Daddy what d’ya leave behind for me? All in all it was just a brick in the wall». Ogni mattone rappresenta esperienze che segnano il bambino costruendo quel muro di difesa e separazione dagli altri, la morte del padre, il tradimento, il sistema scolastico segnano Pink e lo portano a costruire qualcosa che lo protegga da un mondo che sembra sempre più crudele. Il primo evento che segna Pink e che lo fa sentire diverso dagli altri è la morte del padre e quindi l’esperienza di crescere solo con sua madre, una donna iperprotettiva e una madre difficile.

Another brick in the wall, Pt. 2 invece racconta del mattone che ha avuto origine dalla scuola, ma contrariamente a quello che credono in molti il brano non è una protesta contro l’idea di scuola o in generale di educazione. Il brano è stato tanto strumentalizzato come arma contro l’autorità scolastica da essere bandito in Sud Africa negli anni ’80 perchè divenuto colonna sonora di un movimento di studenti che cercarono di boicottare il sistema scolastico. In realtà il brano, continuazione di The happiest day of our lives si pone contro il sistema di apprendimento sperimentato da Waters. Nel brano precedente Pink racconta dell’umiliazione subita tra i banchi e questa esperienza lo porta a ritenere che il sistema di apprendimento meccanico, da lui sperimentato, crei cloni sociali e masse omologate, da qui il grido che si ripete per tutta la canzone: «We don’t need no education, We don’t need no thought control». L’autore non chiede un’assenza di un’educazione, ma rivendica la necessità di una scuola che permetta uno sviluppo individuale e non ridicolizzi le eccezionalità.

Usata per dar voce alle proteste di tutti coloro che rivendicano l’assenza di autorità e di controllo, il brano non è altro che la storia di come la scuola, con insegnanti che umiliano e deridono gli studenti, abbiano aiutato Pink a costruire quel muro che lo divide dal mondo.

Ludovica Amico

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