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Diventare adulti con Ingeborg Bachmann

Foto di Luca Torriani

Nel Trentesimo anno, racconto eponimo della raccolta di racconti del 1961 di Ingeborg Bachmann, un uomo si affaccia all’età adulta vivendo l’approssimarsi dei trent’anni con sgomento e dolorosa ricerca.

La prosa di Ingeborg Bachmann risente dell’esperienza poetica dell’autrice austriaca, poeta di punta del Gruppo 47. La sua parola è un martello pneumatico infaticabile, che ha come obiettivo quello di scavare fino a trovare il proprio centro. In questo rovello, che nell’andare al cuore delle cose trascina con sé tutto il fango della discesa, la parola bachmanniana sembra percepire la sua densità e avvertirla come intollerabile, eccessivamente torbida. Cerca allora di svestirsi del carico e librarsi verso spazi d’aria pura. Il giocoforza corposità-levità è la cifra stilistica dei sette racconti che compongono la raccolta Il trentesimo anno, uscita per la prima volta nel 1961 ed edita in Italia da Adelphi.

Il racconto che dà titolo alla raccolta – Il trentesimo anno, appunto – è gestito per lo più da un narratore onnisciente in terza persona frutto delle sperimentazioni formali di quegli anni. Infatti, lungi dall’ostentare l’onnipotenza tipica di questo narratore – impensabile nell’epoca in cui la Storia inizia a mettersi seriamente in discussione – la posa della terza persona bachmanniana è quella di un confidente, di qualcuno che partecipa con consapevole distacco alle peripezie interiori del proprio protagonista, ricorrendo ricorsivamente alla psiconarrazione. L’uomo senza nome, di cui viene narrato un anno di vita, presenzia con diversi monologhi interiori.

Ma il narratore e il suo protagonista sembrano fondersi nelle pagine in cui il discorso è maggiormente teso allo sforzo di fare chiarezza. Sono i momenti in cui interviene l’allocuzione a un “tu”, che potrebbe essere tanto il protagonista – cui si rivolge il narratore – quanto un tu generazionale. Quella generazione di trentenni rappresentata dal main character che, rimanendo anonimo lungo tutto l’arco della narrazione, ben si presta a una funzione di rispecchiamento.

L’uomo del racconto entra nell’anno che lo porterà al compimento dei trenta con gli occhi chiusi. La consapevolezza, che rende nudo il suo sguardo, lo ferisce come una luce troppo forte. Se fino a quel momento la sua vita è stata incasellata in precisi e identificabili schemi storico-sociali, ora questa forma di conoscenza e attraversamento delle cose gli è ostile, aliena. Il turbamento che lo coglie non è un invasamento improvviso. Semplicemente, la tappa unanimemente riconosciuta come tale del trentesimo anno scatena la crisi. Allora si mette in viaggio. Roma e Vienna saranno i poli significativi di un incessante movimento.

Tra la conquista del piacere, l’immersione nel passato, tentativi di incastrarsi nelle dinamiche sociali comuni (matrimonio, figli, lavoro stabile), rigetto di un modello unico di vita e desiderio di silenzio trascorre il suo anno. Un anno che termina con dolorosa e al contempo quasi spensierata presa di coscienza di voler vivere, che significherà per lui accettare il presente.

La dialettica moto-fuga regge l’intero racconto. Infatti, il viaggio è l’espediente strutturale che cadenza l’intera narrazione e che fa da paio con il viaggio interiore del protagonista. Un io dalle dinamiche esistenziali eterne, ma anche con radici ben piantate nella storia. Un uomo del suo tempo, quello di chi ha vissuto la giovinezza alle prese con obblighi ed esercizi di libertà nell’Austria della seconda guerra mondiale. A tentoni nella nube del presente, alla ricerca di chi e cosa in mezzo all’inferno inferno non è.

Giulia Annecca

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