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La meraviglia dell’occhio umano

Relatività, eseguito da Escher nel 1953, è l’opera che ispirò il film Labyrinth del 1989. L’artista ricerca qui uno stile in grado di scardinare la prospettiva della nostra realtà.

Alla fine degli anni Cinquanta nasce un movimento artistico internazionale: l’Optical Art (o Op Art), che ha come obiettivo quello di determinare sull’osservatore uno stimolo ottico di ordine psicologico, ed è proprio in questo filone che si inserisce l’opera di Escher.

Relatività prende corpo a partire da tre visioni in prospettiva fuse tra loro generate da tre punti di fuga posti fuori dal disegno stesso, i cui vertici formano un ideale triangolo equilatero. Rappresenta un mondo in cui le normali leggi di gravità non si applicano.

La struttura architettonica sembra essere il centro di una comunità idilliaca, con sedici personaggi che si trovano ognuno su una delle scale di gravità e svolgono gli impegni quotidiani. Questi elementi svelano dei significati nascosti: messaggi che appartengono a un linguaggio indefinito, evanescente, psicologico, intimo.

In Relatività, ci sono tre fonti di gravità raffigurate nello stesso spazio, ognuna delle quali è ortogonale alle altre due. Ogni abitante vive in uno dei pozzi di gravità, dove si applicano le normali leggi fisiche.

La struttura è composta da sette scalinate e ogni scala è utilizzata da persone che appartengono a due diverse sorgenti di gravità. Ciò crea interessanti fenomeni, dove due abitanti usano la stessa scala nella stessa direzione e sullo stesso lato, fianco a fianco, ma ognuno percorre una faccia diversa di ogni gradino. Nelle altre scale gli abitanti sono raffigurati mentre salgono le scale sottosopra, ma sulla base della loro fonte di gravità, è tutto normale stanno salendo normalmente. Ci sono delle porte che sembrano condurre a scantinati insoliti, aggiungendo un effetto surreale alla foto.

Questo si basa su un inganno: il gioco delle forme, degli spazi, delle coperture dei piani, della loro confusione creano delle vere e proprie illusioni non facilmente inquadrabili, con uno studio particolare e minuzioso delle geometrie, elementi protagonisti principali dell’intera opera.

In questa litografia si celebra la contraddizione di figure che agiscono parallelamente, ricalcando la doppiezza e la ripetizione di movimenti dinamici e matematicamente calibrati, scanditi. L’insieme porta a ingannare lo spettatore, intrappolato da un intreccio del concetto illogico-logico, irrazionale-razionale, impossibile-possibile, in cui le immagini sono quasi semplificate in un contesto che risulta essere prospettico ma sobrio e semplice.

L’intento dell’artista è quello di rappresentare i paradossi logici e oggettivi della geometria in una continua evoluzione e di divertire e intrattenere lo spettatore in una visione parossistica vivace, per giungere a una confusione voluta e consapevole dei soggetti del reale, in una loro proposizione sovrapposta e ripetitiva.

Facendo un parallelismo tra quadro e realtà, si nota come il quadro rispecchi l’evasione dai vincoli sociali di ogni singolo individuo, assorbito da una società che lo ingabbia come se fosse in un carcere. Come dice Oscar Wilde infatti «[…] noi che viviamo in questo carcere, nella cui vita non esistono fatti ma dolore, dobbiamo misurare il tempo con i palpiti della sofferenza, e il ricordo dei momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare. […]».

Leila Ghoreifi

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