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Le transizioni: viaggio nella solitudine delle identità

Le transizioni, romanzo di Pajtim Statovci, racconta l’incessante viaggio di unə protagonista attraverso paesi e identità.

Le transizioni
Fotografia di Scott Webb

Bujar, Ariana, Tanja: questi i nomi che vanno a comporre la complessa identità dellə protagonista de Le transizioni di Pajtim Statovci (titolo originale Tiranan Sydän, ossia “Il cuore di Tirana”). Il suo viaggio inizia in Albania, a Tirana, di cui nel corso del suo racconto lə protagonista racconta la decadenza, connessa anche alla propria esperienza personale e soprattutto familiare: dopo la morte del padre, infatti, la madre cade in uno stato di depressione e la sorella Ana scompare. Bujar scappa insieme all’amicə Agim, con cui inizia a vagare per lo stato, cercando di sopravvivere e sognando un futuro diverso, lontano da Tirana e dall’Albania, ormai disvelatasi agli occhi di Bujar come molto distante dal luogo mitico dell’infanzia, la cui immagine era filtrata e resa viva dai racconti mitizzanti del padre sulla storia dell’Albania.

Attraverso i discorsi e i sogni per il futuro dellə due amichə si delinea man mano un piano per raggiungere l’Italia, dove il lettore ritrova lə protagonista all’inizio del romanzo. Di Agim non c’è più alcuna traccia e nessuna notizia presente se ne avrà fino alla fine del libro. Con il procedere della narrazione la sua assenza comincia però a farsi ingombrante: di fronte al contrasto sempre più forte tra i progetti fiduciosi verso il futuro dellə due amichə e la solitudine del continuo migrare dellə protagonista per diversi stati e diverse storie il lettore non può infatti fare a meno di chiedersi dove Agim sia finitə.

Senza Agim, come già accennato, il romanzo comincia, e senza Agim il presente dellə protagonista dovrà procedere nel corso di tutta la narrazione, che significativamente si apre e si chiude con la morte. Il primo capitolo inizia infatti con una riflessione dellə protagonista sulla morte: è un’immagine del momento della morte, quella offerta da questa prima pagina, calma, affettuosa, legata a un lento decadimento percepito quasi come un flusso: «Poi a uno a uno i miei organi cedono e le funzioni corporee cessano: dal mio cervello non partono più ordini al resto del corpo, la circolazione sanguigna si ferma e il cuore si arresta, spietato e inesorabile, e io semplicemente smetto di esistere. Dove una volta c’era il mio corpo restano solo epidermide e tessuti, e al di sotto liquidi e ossa e organi senza alcun significato. Morire è facile come scivolare per un lieve pendio» [1].

Non è questa la morte che attende però il protagonista alla fine del primo capitolo. Prima di essere proiettato, nel capitolo successivo, che apre la prima parte del romanzo, otto anni prima gli eventi del primo capitolo, il lettore assiste infatti al suicidio dellə protagonista:

«Riesco a prendere ancora una boccata di ossigeno e a tirare avanti, dagli occhi colano gocce da una flebo, e per un attimo ho l’impressione che stia piovendo, ma non c’è una nuvola in cielo. Davanti a me appare Ponte Umberto I, e allora mi guardo rapidamente a destra e a sinistra, e vedo quell’arancia putrescente che è Castel Sant’Angelo, la gente che scatta incessantemente fotografie, gli alberi verdi allineati sul lungofiume, le acque torbide del Tevere. Attraverso le strisce e punto verso piazza dei Tribunali, procedo ancora fino a trovarmi davanti a quella lingua di scale che conducono al Mausoleo di Adriano – in un punto privo di strisce pedonali dove gli automobilisti si arrischiano ad andare più veloci.
Mi guardo attorno per un attimo e immagino che non dovrò aspettare a lungo, ma ci vuole qualche minuto perché le mie orecchie percepiscano il ronzio di una macchina sufficientemente grande. E allora mi lancio» [2].

In realtà sarebbe meglio parlare di tentato suicidio: lə protagonista infatti non muore, ma questo il lettore lo viene a sapere solo una sessantina di pagine dopo, quando, dopo la rievocazione dell’infanzia di Bujar, dei racconti del padre, della sua morte, del funerale e della fuga di Bujar e Agim, la narrazione torna all’anno e al luogo di partenza: Roma, 1998. Qui prende inizio il viaggio solitario dellə protagonista attraverso diversi stati, storie, identità, un viaggio che è anche estenuante ricerca di un luogo dove stare, di una o più identità da vivere, un viaggio che è anche fuga inesausta da un passato taciuto, dalla tragicità della perdita, a cui però infine Bujar dovrà, fisicamente e col ricordo, tornare.

Elena Sofia Ricci


[1] Pajtim Statovci, Le transizioni, Palermo, Sellerio, 2020 (2016), p. 11.
[2] Ivi, pp. 19-20.

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