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Ho conosciuto il dolore, una poesia contro il male

Ho conosciuto il dolore, è una lirica musicata appartenente all’album Io non ti appartengo più in cui Roberto Vecchioni racconta la sua battaglia contro il male, un avversario crudele, ma non invincibile.

Fotografia di Cintia Matteo su Unsplash

Nella copertina dell’album Io non ti appartengo più del 2013 è raffigurato Vecchioni seduto su una poltrona posta in un luogo insolito: in un ring. Con le gambe distese su una pila di libri e alla fioca luce di una abat-jour il cantautore sembra assorto in un momento di contemplazione . É lui stesso che spiega in un’intervista dello stesso anno il significato di quell’immagine:

«Ho scelto il ring come simbolo per non far dimenticare a nessuno che io sono sempre stato su un ring a combattere. Certo, non ci sono lottatori qui, ci sono libri, quadri, oggetti di valore eterno. E ci sono io, in poltrona, in un momento di riflessione perché non ho riferimenti: e quindi io non appartengo più.» [1]

Nella lirica Ho conosciuto il dolore, la sesta traccia di questo album, il cantautore affronta il suo rapporto con il male, quella forza che consuma gli uomini e che, spesso, li rende impotenti davanti alle difficoltà. Questo nel brano è personificato, lo si incontra nei bar o per strada, e assume forme sempre diverse. La malattia, l’indifferenza, un amore perduto e la morte, sono i modi in cui si presenta e contro cui l’autore si scaglia in una lotta che vede opporsi vita e sofferenza.

«Ho conosciuto il dolore
E l’ho preso a colpi di canzoni e parole
Per farlo tremare,
Per farlo impallidire,
Per farlo tornare all’angolo,
Cosi pieno di botte,
Cosi massacrato stordito imballato…»

Vecchioni regala un’immagine davvero vivida del suo avversario, un dolore che disarma, che ti mette all’angolo senza pietà. Egli stesso ha vissuto esperienze di grande sofferenza e ha «conosciuto il dolore di persona» riuscendo sempre a trovare armi nuove con cui lottare. Il cantautore lombardo ha affrontato la malattia di un figlio, e ha rivelato, proprio nell’anno di uscita di questo album, la sua battaglia contro un tumore, un avversario nascosto che è riuscito a sconfiggere, affrontando in prima persona la crudezza delle prove che talvolta la vita ci costringe ad affrontare. In questa lirica, nonostante sia personificato, il male non è umano, ma destinato a rimanere solo nel suo tentativo fallimentare di trascinare in un buio baratro gli uomini.

«Poi l’ho fermato in un bar,
Che neanche lo conosceva la gente;
L’ho fermato per dirgli:
“Con me non puoi niente!”
Ho conosciuto il dolore
E ho avuto pietà di lui,
Della sua solitudine,
Delle sue dita da ragno
Di essere condannato al suo mestiere
Condannato al suo dolore;»

Dopo il combattimento, l’autore compie un’ulteriore azione molto significativa: non si accontenta di umiliarlo e insultarlo, ma lo insegue, chiede il suo senso e lo scopre piccolo. La sua esperienza personale e le difficoltà che ha dovuto affrontare gli hanno donato una forza nuova che gli permette di schernirlo, di avere pietà di lui.

Contro gli ostacoli posti dal male stesso schiera le emozioni, i figli, l’amore: quelle cose che il dolore tenta di portare via, ma che appartengono all’uomo e lo rendono vivo. Nel brano, unione di musica e poesia, si crea un’atmosfera magica che rende concreta l’immagine di questo dolore accanto al quale si spengono anche le stelle. Alla fine l’umanità, che ci rende fragili e per natura finiti, si rivela per Vecchioni la vera forza che possediamo, essa dà la possibilità di provare emozioni, amare e lottare, cacciando fuori dal ring il nostro avversario. Ascoltare questa canzone e la sua calda voce consente di avere l’impressione di partecipare a questa violenta battaglia e al riscatto dell’uomo.

Ludovica Amico


[1] Il Fatto Quotidiano

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