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Giocare a scacchi contro sé stessi

La regina degli scacchi è una miniserie Netflix che ha avuto un vastissimo successo. Nei panni della protagonista Beth c’è Anya Taylor-Joy, che interpreta una ragazza estremamente dotata ma dal vissuto tormentato. Nel corso dell’avanzata di Beth nel mondo degli scacchi, la promettente giocatrice deve imparare a battere gli avversari e a dominare i suoi demoni interiori .

Fotografia di Gian Piero Deotto

La miniserie La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit il titolo originale) è stata la serie dei record per tanti motivi: vista da ben 62 milioni di utenti, ha svettato nella classifica Top 10 di Netflix per molte settimane consecutive. Non stupisce affatto che abbia avuto anche un fortissimo impatto esterno, portando alla ribalta il mondo – fino a poco tempo prima sconosciuto al vasto pubblico – degli scacchi, e a un aumento esponenziale della vendita di scacchiere in tutto il mondo.

Il titolo italiano non rende giustizia al riferimento contenuto nell’espressione originale: il “queen’s gambit” è infatti il così detto “gambetto di donna”, una celebre mossa di apertura degli scacchi usata spesso dalla protagonista. Tale espressione sfrutta il gioco di parole per il quale “gambit” può significare anche “stratagemma”.

La trama del drama biografico è molto lineare, anche perché la storia di Beth Harmon viene raccontata in soli sette episodi, ed è tratta dall’omonimo romanzo del 1983 di Walter Trevis. Beth è una bambina che, a seguito della morte della madre, si ritrova in un istituto femminile del Kentucky nel pieno degli anni Sessanta.

In breve tempo sviluppa una dipendenza per le pillole tranquillanti che all’epoca venivano quotidianamente somministrate agli ospiti dell’orfanotrofio. Nel corso delle noiose giornate passate in istituto, Beth scopre gli scacchi grazie al custode, che le impartisce delle lezioni e capisce ben presto di avere di fronte un prodigio.

La bambina si appassiona al gioco a tal punto da renderlo la sua ragione di vita. Beth scopre che le pillole tranquillanti le permettono di visualizzare una scacchiera immaginaria sul soffitto del dormitorio e così inizia a passare intere notti a giocare partite nella sua mente e a ripassare gli schemi di gioco.

Qualche anno dopo, Beth viene finalmente adottata: da questo punto in poi inizia la sua scalata al successo, partecipando ai tornei e vincendo ogni partita disputata. Ma la pressione accumulata durante le gare e l’ambizione quasi smaniosa di diventare la migliore di sempre spingono Beth ad abusare di psicofarmaci e alcol: unico strumento di sostegno mentale e psicologico. Il punto di rottura giunge quando la ragazza viene battuta dal suo avversario principale, il campione del mondo russo Borgov.

Beth sprofonda così in una spirale di autodistruzione e commiserazione: il senso di sconfitta è tale da farla soccombere alle sue dipendenze, senza un’apparente via d’uscita. Per vincere i propri demoni e superare i traumi del passato, infatti, non basta una mente geniale. Grazie all’aiuto degli amici scacchisti e all’amica d’infanzia, Beth riesce a ritrovare la lucidità di un tempo e con essa a cogliere l’ultima opportunità per battere il campione Borgov una volta per tutte.

L’ossessione, l’ambizione spasmodica e frenetica, il tormento continuo e lo stress accumulato rendono Beth un personaggio perfettamente calato nel binomio genialità-follia. Le sue indubbie doti scacchistiche e matematiche, che rendono la ragazza un vero prodigio sin dalla più tenera età, sono controbilanciate da un pensatissimo carico psicologico. Uno scotto pagato attraverso le dipendenze, che rendono Beth schiava di un circolo vizioso a lungo andare distruttivo, non solo per sé stessa ma anche per le relazioni con chi la circonda.

Il tema delle dipendenze, oltre a essere estremamente attuale, riguarda anche le due figure reali alle quali si ispira il personaggio immaginario di Beth: Bobby Fischer, scacchista di fama mondiale, e il suo stesso creatore, Walter Trevis, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dell’alcolismo.

L’abuso di droghe e alcol è solo uno dei temi di cui parla la serie. Altrettanto centrali sono la difficoltà nella gestione di ansia e stress, per non parlare del processo di emancipazione femminile rappresentato dall’avanzata di Beth nel mondo quasi del tutto maschile degli scacchi.

La storia di Beth, intensa, raffinata e appassionante, insegna che l’avversario può essere l’altro giocatore, ma anche il passato, una bottiglia di vino, o perfino sé stessi. Il disagio mentale e psicologico che spesso accompagnano le menti geniali può essere esteso anche in senso generale, ora più che mai data la situazione dettata dalla pandemia mondiale che costringe tutti in una situazione di continua tensione. Come Beth, ognuno può essere l’alleato più fedele e l’avversario più temibile di sé stesso. Solo facendo le giuste scelte (o “mosse”, usando la metafora della vita come partita a scacchi) si può decidere di arrivare alla vittoria. 

Martina Costanzo

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