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Dall’oscura identità all’eterna notte

Fotografia di Luca Torriani
Fotografia di Luca Torriani

In La casa di Asterione Jorge Luis Borges conduce il lettore attraverso l’oscura identità del suo protagonista e narratore, dislocando in un percorso gli indizi che ne illumineranno l’identità.

Il racconto inizia con una perorazione di Asterione, un’arringa (contraddittoria) in cui il protagonista sfata i miti sul suo conto. A questo punto l’unico indizio iniziale è il nome stesso di Asterione, che parla però solo alla cerchia dei conoscitori di Apollodoro, una cui citazione è posta d’altronde in esergo.

Mentre il discorso di Asterione procede si scopre che la sua casa non ha mobili, ha porte sempre aperte e di numero infinito e che lui è considerato un prigioniero, posizione che il protagonista confuta: una volta è uscito di “casa”, ma i volti della gente lo impaurivano, la gente stessa d’altro canto fuggiva, pregava e si prosternava al vederlo. Questa descrizione, per la sua stranezza, fa risuonare un campanello d’allarme nel lettore che non abbia colto il riferimento dato dal nome di Asterione.

Ed ecco arrivare il secondo indizio, sempre abbastanza nascosto: Asterione fa riferimento al «templo de las Hachas» [1], il tempio delle Asce. L’ascia doppia o bipenne era il simbolo della dinastia minoica. Ma anche stavolta il riferimento passerà ai più inosservato.

La costruzione del personaggio continua: Asterione si lancia per i corridoi in una corsa-caccia animalesca, ma mostra anche un’umanità fuori dal comune nel desiderare la visita di un altro se stesso a cui mostrare tutte le innumerevoli, infinite stanze della sua casa, una casa che si ripete all’infinito.

Un altro frammento di informazione si aggiunge: «Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue» [2]. Questi nove uomini ogni nove anni non sono altro che la variante borgesiana dei sette ragazzi e delle sette ragazze della tradizione, i fanciulli offerti a colui che nel racconto di Borges attende il suo redentore e si chiede che aspetto egli possa mai avere.

«Come sarà il mio redentore? Sarà un toro o un uomo? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?». A questo punto l’identità di Asterione sembra chiara, ma se ancora non lo fosse viene subito svelata in chiusura: il sole mattutino, una spada di bronzo, il riferimento al sangue di Asterione versato e la battuta «“Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso”» [3]. Infine l’oscura identità del protagonista si svela dunque pienamente, nel momento stesso in cui la sua parabola si chiude nell’eterna notte.

Elena Sofia Ricci


[1] Jorge Luis Borges, La casa di Asterione in L’Aleph, Einaudi, 2004.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.

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