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Pietro, burattino con gli occhi chiusi

Fotografia di Filippo Ilderico

Come tutti i romanzi di Federigo Tozzi, anche Con gli occhi chiusi è ricco di autobiografismo e nelle sue pagine, nella storia tra Pietro e Ghisola, l’autore senese fa emergere una tematica cara a tanta letteratura novecentesca, da Svevo a Kafka: l’inettitudine e l’incapacità di guardare con gli occhi aperti il mondo.

Milano, 1919. La casa editrice di Emilio Treves pubblica Con gli occhi chiusi, il primo romanzo del senese Federigo Tozzi. Per molto tempo è rimasto un autore misconosciuto e solamente negli ultimi anni la critica ha seriamente iniziato ad occuparsi delle sue opere, tipiche di una narrativa espressionista privilegiata da autori del panorama della narrativa primonovecentesca.

Il protagonista del romanzo è il giovane Pietro Risoli, incapace, come suggerisce il titolo del libro, a “vedere” il mondo. La sua è un’incomunicabilità che si riflette anche nel rapporto con gli altri, nello specifico con Ghisola, la ragazza di cui Pietro è innamorato. Il protagonista non riesce a riconoscere la reale esistenza della donna e, di conseguenza, la vita che conduce.

È proprio questa sua incapacità ad osservare le cose che lo distacca dalla realtà. In Pietro non è possibile riconoscere un individuo pensante, cosciente delle proprie azioni e consapevole dell’esistenza che sta vivendo. Tozzi nel personaggio protagonista riesce ad evidenziare con vivida chiarezza l’essere una sorta di fantoccio, quasi di oggetto insignificante, privo di qualsiasi coscienza critica ed esistenziale: insomma, un inetto. Questa sua caratteristica lo porta ad assomigliare, più che ad un essere umano, proprio ad un burattino. Quest’ultimo però è vittima (ma questo solo il lettore lo comprende, non il personaggio) di sé stesso: i fili di questo pupazzo sono manovrati proprio da Pietro.

Il giovane si è innamorato di una donna che è stata idealizzata proprio dal protagonista, il quale non si accorge che la ragazza non è affatto pura e ingenua come lui la vorrebbe. Nel finale del romanzo, violento nella sua tranquillità, Pietro, in balia di sé stesso, scopre Ghisola nella sua vera realtà, quella della prostituzione e, soprattutto, nella sua condizione di donna gravida in una casa d’appuntamento.

È proprio questo finale spietato che per Pietro, appunto «con gli occhi chiusi» per tutto il romanzo, fa sì che avvenga una «violenta vertigine» che lo porta a cessare di amare la donna, vista, per troppo tempo con occhi sbagliati. Attraverso questa scoperta Pietro in qualche modo smette di essere un fantoccio distaccato dalla società e dalla realtà e inizia a conoscerla e a viverla, nonostante la durezza senza scampo.

All’interno del romanzo è forte la componente autobiografica: nella figura di Pietro si proiettano le inquietudini e i turbamenti dello scrittore stesso, mentre il padre del protagonista, Domenico, è un alter ego letterario del padre dello scrittore, un uomo dispotico con cui Tozzi ebbe sempre rapporti molto difficili. Anche altre figure del romanzo sono esemplate su persone della vicenda autobiografica dello scrittore.

Tuttavia non è possibile ridurre la vicenda narrata da Tozzi ai soli confini dell’autobiografismo. Nel romanzo è presente un tema che sarà caro ad autori del calibro di Kafka e Svevo: il tema dell’inettitudine, vero e proprio leitmotiv della prosa novecentesca.

Il protagonista del romanzo infatti si presenta come un ragazzo (poi, dopo la bildung, un uomo) incapace di compiere il proprio dovere, di eguagliare la figura del padre. È un inetto che, con gli occhi chiusi, si approccia con fatica al mondo che lo circonda e, di conseguenza, alle persone che incontra lungo la propria vicenda. Questo atteggiamento di distanza e di incomunicabilità si riflette soprattutto nel rapporto con Ghisola, dalla quale viene ingannato, poiché la donna sfrutta l’amore di Pietro per mere ragioni economiche. Pietro è, come tutti i personaggi tozziani, incapace di sottrarsi al proprio destino di rovina: destino causato proprio dal personaggio, un vero burattino senza fili.

Interessante, anche nella caratterizzazione del personaggio, la dimensione psicologica del racconto. Tozzi dimostra non solo di aver studiato molti trattati prefreudiani, ma anche di conoscere le teorie sul «flusso di sensazioni» che va a formare la psiche umana. Ecco allora che il racconto può essere interpretato come una sorta di resoconto delle sensazioni provate dal protagonista

Per il carattere di inettitudine del protagonista è utile sottolineare un elemento legato al titolo del romanzo. Se inizialmente, da come si deduce dal carteggio con Treves, il titolo del romanzo doveva essere Ghisola, come l’amata da Pietro, il titolo definitivo – Con gli occhi chiusi – con lampante evidenza riesce ad esprimere il carattere principale e del protagonista e, in generale, della poetica di Tozzi. Questo titolo, inoltre, non può non alludere ad un particolare episodio della vita dell’autore il quale, anni prima, fu colpito da una malattia agli occhi che lo costrinse a stare al buio per molto tempo. Quando si riprese, trovò difficoltà ad approcciarsi alla vita normale, ad uscire dal suo rifugio proprio come il suo personaggio.

Con la descrizione del personaggio di Pietro, Tozzi dimostra una sorta di pessimismo. Secondo l’autore l’elemento del dolore – tematica importante nella sua poetica – non è il prodotto di un dato momento storico, di una determinata classe sociale. È il male a dominare il mondo e la natura umana è sopraffatta dagli istinti negativi. 

Tuttavia, nonostante questo dato di fatto espresso dallo scrittore di altri romanzi come Il podere Tre croci, non si fa voce di un realismo impersonale ma, piuttosto, partecipa con toccante pietà ai fallimenti dei suoi personaggi, primo fra tutti Pietro, che con «gli occhi chiusi» è sempre stato incapace di guardare il mondo e, soprattutto, sé stesso. 

Alessandro Crea

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