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Tondelli, cannibali e quella rivoluzione editoriale dei giovani all’assalto

Dalla rivoluzione innescata da Pier Vittorio Tondelli alle ultime derive del gruppo dei cannibali: una storia di rivoluzione tentata all’interno del mondo editoriale italiano.

Disegno di Elena Sofia Ricci

Gli anni sessanta ormai erano passati, i settanta pure: lontane le storie del liceo Mamiani di quei porci con le ali scottati dal sesso e dalla politica, lontana la solitudine romantica di quel Boccalone. Ora i giovani c’erano ma non erano più niente; non più antagonisti di una dura lotta politica, avevano la bocca semi-vuota di quegli slogan sui cui pure si erano lanciati negli anni precedenti.

E pur nell’attenuarsi di confini netti, qualcuno pensò a quella generazione inquieta nel chiaro-scuro: Pier Vittorio Tondelli, l’uomo che, scrittore affermato sulla soglia dei trent’anni, si rese conto di non poter più parlare di gioventù, che giovane, certo, lui non lo era più, e non lo sarebbe più stato. E se non poteva farlo lui, è chiaro, non avrebbero dovuto farlo neppure i giornali che sfregiavano quei ragazzi a suon di etichette.

In un articolo uscito su Linus nel Giugno del 1985, Tondelli scriveva «Se l’euforia giovanile degli anni Settanta ha prodotto la tragedia, la tragedia degli anni Ottanta (non c’è niente di nuovo, niente per cui valga la pena vivere) produce soltanto la farsa dei travestimenti…». Eppure, nonostante le parole amarissime, l’autore credeva ancora alla possibilità di una reazione, reazione che lui stesso provocò creando un luogo in cui gli stessi giovani potessero parlar di loro. Nasce il progetto Under25: nel giro di tre mesi quegli stessi giovani fantasma reagiscono con tale forza che, nella piccola redazione di Ancona che Pier Vittorio aveva indicato nei suoi appelli, giungono tante voci da far spavento. Figli di questo progetto, tre volumi: il primo Giovani&Blues uscito nel Maggio del 1986, il secondo Belli e perversi l’anno successivo e il terzo – Papergang – nel 1990.

La rivoluzione, signori, a questo punto s’è innestata: all’assalto dell’ingessato mercato editoriale orde di giovani che collocano il loro lettore sul loro stesso piano. Chi legge è trasportato nel cuore pulsante di queste nuove identità, spesso allo sbando, ai margini della società, quando non dichiaratamente pericolose e asociali. Il linguaggio standard è calpestato, scassinato con forze per nuove gergalità, per portare all’esasperazione e al sound la parola libresca, perché somigli il meno possibile alla parola scritta.

La pluralità di queste storie ha una scarsa omogeneità: se qualche tema in comune c’è, è solo perché i tratti prima solo individuali ora riguardano un’intera generazione: la disoccupazione, la fluidità sociale, l’avvento dei media, la distruzione della famiglia non sono dell’intimità di un cuore ma di una collettività.

Ovvio che esistano anche temi come l’amore e l’amicizia: sentimenti a cui spesso si dice di non credere, per dar a sé stessi un tono da adulti, ma che ugualmente si ricercano, per una caparbietà cieca tipica dell’adolescente e del giovane adulto. Fondante è comunque l’impatto della televisione prima e, più tardi, tra anni novanta e anni duemila, degli altri media. La tv porta forte anche il problema della pubblicità, del consumo forzato da cui il giovane si sente trasformato: la sua identità è di nuovo in bilico, tra lo slogan pubblicitario ossessivo e il genitore assente che viene, guarda caso, sempre ritratto davanti al televisore.

Un ultimo cenno merita l’acuta ed estremamente precisa descrizione dei luoghi, delle canzoni, dei libri: una precisione che vuole creare una toponomastica facilmente riconoscibile e un sotto-lessico identificante un lettore che condivide con noi le esperienze che ci permettono di accedere ad un determinato linguaggio.

Ma alla rivoluzione dei ragazzi di Tondelli lanciati sul mercato, ne segue a stretto giro un’altra, destinata a sconquassare ancora una volta gli assetti già laceri dell’editoria: i cannibali. Assieme alla rivoluzione-Tondelli, il terremoto dello splatter e del sangue è destinato a segnare i confini e la geografia non solo del mercato editoriale attuale ma anche del lettore odierno, per quanto sia lecito ragionare in questi termini su di un periodo così lungo.

La data simbolo è il 1996, anno di uscita di un’antologia di undici «cavalieri dell’apocalisse formato splatter» (Gioventù Cannibale. La prima antologia italiana dell’orrore estremo, a cura di Daniele Brolli , Einaudi, 1996) che comprendeva nomi come quello del perverso Aldo Nove, Niccolò Ammaniti e Alda Teodorani. La raccolta segnava un evidente gusto splatter, un’ossessione per il sesso estremo, per il sangue e le crudeltà d’ogni genere. L’anno è lo stesso di uscita di Pulp fiction che aveva in modo visibile influenzato il cambio radicale della sensibilità.

La penna del Nove inizia il suo Woobinda in maniera illustrissima; e chi legge ride, ma sa che non dovrebbe: Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal, Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle , ma io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal

Risulta evidente, nello stretto giro di tre righe, quanto le marche siano arrivate a pesare nel mondo dei nuovi protagonisti: per un bagnoschiuma sbagliato si può uccidere, perché no, una madre; e tutto questo,  nell’ottica di un consumismo che divora vite,  sembra essere perfettamente funzionale. I cannibali sono metodicamente violenti, fino al ridicolo. E fanno ridere quando dovrebbero far piangere: i soggetti, sfrenati, assolutamente fuori dagli schemi, psicolabili e assurdi escludono per il lettore qualsiasi forma di empatia. Vivono in un mondo senza più centro, dove una marca diventa un valore, con la sola consapevolezza di essere dei post, sopravvissuti ad  un’apocalisse che neppure riescono a nominare.

Il progetto dei cannibali va di pari passo con l’avvento dei social media: non solo questi entrano definitivamente nell’immaginario libresco ma sono gli stessi media che costruiscono in parte l’etichetta di cannibale, termine che nella sua sfacciata mancanza di innocenza non può che sollevare un polverone mediatico.

Chi sono, questi cannibali? Oltre a dire che sono, in certa misura, quei figli della rivoluzione tondelliana, si può individuare una certa coerenza geografica nel Nord Italia, con qualche puntata nella capitale e sul versante adriatico. E come stanno oggi, questi cannibali? Qualcuno ha chiosato che questi sanguinari non fanno più tanta paura.

Ed in effetti le cose stanno realmente come si dice: per molto tempo i cannibali sono rimasti incastrati nell’etichetta che era stata data loro, e ogni nuovo scritto veniva valutato per il tasso di cannibalismo in esso. Ma il fenomeno che era, oggi, non c’è più. Eccezion fatta per qualche sparuto tentativo poco felice, la loro esperienza è caduta nel vuoto. E a valutare in termini di splatter le loro opere recenti, si fa un torto alla decisione di crescita e sviluppo che questi autori hanno preso.

Chi sognerebbe di parlare di splatter per romanzi come Gomorra o per Romanzo Criminale? Niente più sangue neppure per Acciaio e per Ammaniti solo un bagno di consenso, culminato nel 2007 con il premio Strega – quante possibilità c’erano che un cattivissimo vincesse un così ben ambito premio? Dei Cannibali veri, insomma, non rimane che un mercato stravolto e una traccia di sangue un po’ opaca.

Serena Garofalo

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