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“Respect” ha innescato un movimento destinato a non fermarsi mai

Aretha Franklin, con il suo repertorio di musica jazz, R&B, blues, pop, e rock ha sempre espresso i suoi ideali. La sua musica, a partire da Respect, urla le battaglie di una donna di colore nell’America degli anni ’50 che deve alzare la voce per rivendicare i suoi diritti.

Disegno di Elena Sofia Ricci

Respect, è il manifesto delle sue rivendicazioni e fa la storia come brano rivoluzionario. Non tutti sanno che però non è una sua canzone: Otis Redding nel 1965 ha inciso la prima versione di Respect. Lei coraggiosamente l’ha fatta sua due anni dopo, riadattando musica e parole alla sua storia e misurandosi con i limiti del suo tempo. Per questo la sua versione è diventata, da subito, l’inno di rivolta di tutti quei movimenti che rivendicavano diritti civili, combattendo in particolare le oppressioni razziali o di genere.

La versione di Otis Redding, era uno specchio dell’epoca e di una società misogina: la storia di un uomo che, tornando a casa pretende rispetto dalla moglie che non deve far altro che mostrarsi dolce come il miele agli occhi del marito

«Hey, little girl, you’re so sweeter than honey
And I’m about to give you all my money
But all I’m askin’, hey
Is a little respect when I get home»

Aretha Franklin ha completamente ribaltato ogni aspetto del brano trasformandola in un inno per l’emancipazione femminile. La versione della Queen of Soul racconta di un’indipendenza innovativa per la musica del tempo: c’è una donna che pretende, con forza, rispetto dall’uomo che ama. La cantante statunitense, che all’epoca aveva solo 25 anni, ha avuto il coraggio di ribaltare l’ordine su cui si basava la società, dando voce a chi non aveva avuto modo neanche di immaginare il “rispetto” rivendicato dal brano e ha innescato un movimento di lotta che non si sarebbe mai più fermato.

When you come home (re, re, re, re)
Or you might walk in (respect, just a little bit)
And find out I’m gone (just a little bit)
I got to have (just a little bit)
A little respect (just a little bit)

Rilasciata alla fine degli anni ’60, quelli della lotta per l’emancipazione dei neri degli Stati Uniti, Respect non diede voce solo ai movimenti femministi, ma divenne l’inno di tutti i movimenti che lottavano per il riconoscimento dei propri diritti e della propria indipendenza.

Musicalmente la versione di Aretha Franklin è profondamente diversa grazie all’aggiunta del sax tenore di King Curtis e i cori delle sorelle Carolyn ed Erma che hanno allontanato dalla versione funky originale. Anche la voce potentissima della cantante ha ovviamente dato un vigore diverso al brano. Inoltre vi sono state delle aggiunte anche nel testo che sono diventate iconiche. Le sorelle hanno avuto l’idea di cantare in coro «sock it to me»: passato alla storia come riferimento sessualmente esplicito, nonostante la cantante abbia sempre negato ogni malizia, sostenendo che fosse un modo di dire diffuso nel loro quartiere difficilmente traducibile. Aretha Franklin canta anche «Take care… TCB» la sigla di take care of your business.

Come riportato da Ben Sisario sul New York Times, nonostante l’enorme successo della sua versione di Respect, Aretha Franklin non ha ricevuto nulla per una questione di copyright. Secondo una legge sul diritto d’autore a essere pagati erano gli autori e gli editori dei brani e non gli esecutori. Eppure la versione della cantante statunitense si è distinta tanto che ha raggiunto livelli di popolarità inaspettati, diventando una delle più note della Queen of Soul, posizionandosi al 5^ posto nella Classifica delle 500 canzoni più belle di tutti i tempi per Rolling Stones. Redding si impressionò per il successo e nel 1967 durante un’esibizione, presentando Respect, la definì un brano “rubato da una ragazza”.

Ludovica Amico

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