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Mondi in tumulto: Koyaanisqatsi di Philip Glass

Un profondo ostinato nel basso, gravi voci virili che cantano un in una lingua antica, immagini di incisioni rupestri a cui segue una ripresa in altoforno: fin dalla prima scena musica e immagine formano un connubio dirompente nel film Koyaanisqatsi.

Fotografia di Valentina Steffenoni per l'articolo "Mondi in tumulto: Koyaanisqatsi di Philip Glass" di Mattia Sonzogni
Foto di Valentina Steffenoni

Philip Glass (classe 1937, nato a Baltimora ma newyorkese d’adozione) è considerato uno dei padri nobili del minimalismo americano assieme a Terry Riley, La Monte Young e Steve Reich. Mentre i colleghi sono sempre stati orientati verso una ricerca musicale più distillata e a tratti speculativa, Glass ha sempre avuto un’innata vena comunicativa in grado di rendere il suo linguaggio meno ostico e più seducente alle orecchie degli ascoltatori.

La sua indole alla comunicatività non si esaurisce in uno stile semplice, puro, giocato su pochi elementi quanto immediatamente identificabili (ma non per questo scontati o banali). Nel gruppo dei minimalisti Glass ha saputo più di tutti esprimersi in modo ibrido, entrando in dialogo con diversi linguaggi artistici: il suo talento per l’elemento drammatico non si declina solo nelle numerose opere liriche ma in una passione per la multimedialità artistica. La sua musica per il cinema rientra in questa tendenza.

Pietra miliare nella produzione glassiana per il grande schermo è la colonna sonora per Koyaanisqatsi, regia di Godfrey Reggio. Le musiche di Glass per il film non sono però una semplice colonna sonora che sorregge l’azione drammatica del film: la musica è l’unico personaggio sonoro sullo schermo. Il film consiste in una lunga sequenza di immagini che scorrono davanti agli occhi dello spettatore: niente azioni, niente personaggi, nessun dialogo, niente trama, solo musica e fotogrammi.

La partitura di Glass diventa così determinante nel creare l’effetto drammaturgico del film che è una vera e propria opera a quattro mani fra Reggio e il compositore newyorkese.

Il titolo del film (Koyaanisqatsi) è una parola in lingua Hopi (popolazione indigena del Nord America) che assume varie sfumature di significato: può essere tradotta in italiano con “Vita in tumulto”, “Vita pazza”, “Vita fuori controllo, fuori equilibrio”.

Il titolo orienta la lettura di significato dello spettatore che è portato a vedere in Koyaanisqatsi un’opera di denuncia contro il mondo capitalista ed industriale che poco alla volta divora e travolge quello naturale.  La musica di Glass, con le sue figure ripetitive e astratte, pare aumentare e sottolineare il senso apocalittico della pellicola. Il nuovo mondo tecnologico è raffigurato in tutta la sua portata catastrofica, non solo per la natura ma anche per l’uomo.

Tuttavia la musica proietta lo spettatore in una seconda dimensione, dove il messaggio di attualità passa sullo sfondo ed emerge il significato squisitamente artistico del film. Il movimento cinetico è uno degli assi portanti di questo complesso gioco fra musica e immagini.

L’organo e il coro iniziale delineano un’atmosfera statica e primordiale, in un’immobilità sacrale. Ma, finita la declamazione, le figure musicali si fanno più insistenti e via via più dinamiche: dall’elemento scuro dell’organo si passa a quello più chiaro degli ottoni e delle voci femminili, dal minore al maggiore. Glass crea quindi un grande elemento puramente estetico che si esaurisce in sé stesso e nella sua continua metamorfosi, quasi alchemica.

Le grandi immagini a colpo d’occhio e le panoramiche danno senso di profondità alla musica e viceversa. Lo sviluppo della musica di Glass non è verticale, gerarchico, ma orizzontale quasi, in modo ossimorico, immobile. L’ambiente, che domina l’elemento visivo, diventa anche la dimensione attraverso cui agisce l’elemento musicale. La musica ciclica di Glass si trasforma in un plastico paesaggio sonoro che viene percepito più con l’immersione sensoriale che non con il semplice udito.

Elemento estetico e impegno sociale si uniscono nell’opera di Reggio e Glass. Koyaanisqatsi non punta solo il dito contro un nemico da abbattere ma, nella molteplicità dei suoi significati, sembra additare una via d’uscita verso un mondo nuovo e diverso dove l’approcciarsi, al mondo e all’arte, non sia più nel senso del possedere ma in quello dell’abitare.

Mattia Sonzogni

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