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Le confessioni italoamericane di Claudia Durastanti

Caso letterario del 2019 edito da La Nave di Teseo, La straniera di Claudia Durastanti è la “storia di chi fugge e di chi resta”, dell’autrice e della sua famiglia tra la Basilicata e Brooklyn.

Foto di Luca Torriani

Claudia Durastanti e il suo lessico famigliare rivivono nelle pagine de La straniera (La Nave di Teseo, 2019), opera che scombina felicemente i confini tra fiction e nonfiction. Presentandosi come un libro frutto di una palpabile urgenza narrativa, controllata da una scrittura che ha il sapore ragionativo di una traduzione, La straniera è, infatti, la trasposizione su carta della storia personale e famigliare di Durastanti. Difficilmente, però, lo si potrebbe definire un’autobiografia in senso classico, così come non lo si può ascrivere del tutto al romanzo. Questa sua natura ibrida, questa percorrenza fluida di più generi letterari, è un azzardo che sa di grazia.

Lo svolgimento de La straniera non è cronologico, ma tematico. Il libro è suddiviso in sei sezioni – Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro&Denaro, Amore, Di che segno sei – e si apre con il primo incontro a Roma dei genitori dell’autrice. Entrambi dichiarano di aver salvato l’uno la vita all’altro in quel primo casuale meeting. Non avere una versione definitiva dei fatti è un dato rivelatore che connota tutti i personaggi de La straniera, che sono tesi non tanto alla verità («Ma è una storia vera?») [1] quanto alla costruzione di una propria narrazione. Affetti da disabilità, immigrati, viaggiatori inquieti, essi rivestono di una particolare importanza i suoni, le parole, i gesti atti all’architettura del proprio particolare mondo. È nelle avventure rocambolesche dei suoi personaggi e nella loro caratterizzazione che La straniera assume i toni più spiccatamente romanzeschi, quasi picareschi. La protagonista e voce narrante – femminile, ironica, catartica – racconta le loro migrazioni fisiche e affettive. I nonni, partiti da San Martino D’Agri, paesino della Basilicata profonda, raggiungono New York negli anni Sessanta e lì si stabiliscono definitivamente, lasciando però in Italia la madre della protagonista, affetta da sordità e affidata a diversi collegi e famiglie estemporanee. A Roma ella incontrerà il futuro padre dei suoi figli, anch’egli sordo, da cui divorzierà. La protagonista, dopo aver vissuto i primi sei anni di vita a New York assieme alla famiglia materna, alla madre e al fratello, tornerà con questi ultimi due a vivere in Basilicata. Dal paese dei nonni si allontanerà ogni estate per andarli a trovare a Brooklyn, si recherà a Roma prima per le saltuarie visite al padre, che lì vive, e poi per frequentare l’università. Infine, si trasferirà a Londra.

Per la famiglia emigrata a Brooklyn, gli States saranno il new world italoamericano di chi deve reinventarsi senza perdersi. La voce narrante, invece, compie un’inversione di rotta: per lei il mondo nuovo non è New York, dove è nata, bensì la Basilicata, dove torna negli anni Novanta. Le tocca familiarizzare con una realtà per svariati aspetti anni luce dietro alla cosmopolita, disordinata e vitalistica “Niù-Iore” [2], ma altrettanto lontana dallo stereotipo contadino e arcaico di chi l’appaia ancora alla regione di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Una dimensione altra è, inoltre, quella franta dei suoi genitori. Quando entra nella stanza semianecoica creata nel 2017 dal Guggenheim di New York la coglie un sentimento di chiarezza vertiginosa. «[…] mi è parso di sparire nel bianco che mi circondava. […] Lì dentro non ho avuto una premonizione del mio futuro, ma ho pensato al mio passato, e al fatto che i miei genitori hanno sempre vissuto in una stanza come quella». [3] La comprensione è sempre l’attraversamento del territorio altrui, in cui è inevitabile sentirsi stranieri, come suggerisce l’elemento paratestuale del titolo.

La straniera gioca a sgusciare da un genere all’altro, ma si dà un’unità di fondo con la scelta di una lingua precisa e chirurgica che fa riverberare ogni singola parola di un nitore abbacinante. Durastanti ha un’intuizione unica e musicale per la frase, specie quando è strutturata per parallelismi e chiasmi che hanno la funzione di chiudere un periodo e aprirne un altro.

La straniera si legge con gli occhi e con le orecchie.

Giulia Annecca


[1] Claudia Durastanti, La straniera, La Nave di Teseo, Milano, 2019, p. 285
[2] Ivi, p. 28
[3] Claudia Durastanti, La straniera, La Nave di Teseo, Milano, 2019, p. 50

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