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“Il mondo nuovo”: Giandomenico Tiepolo e la crisi della società veneziana

A fine ‘700 l’ Europa, reduce dalla Rivoluzione Francese, vive un crollo delle proprie certezze. Il pittore veneziano Giandomenico Tiepolo, figlio del famoso Giambattista, realizza “Il mondo nuovo:” un’opera che risente di questo clima e rappresenta al contempo curiosità, speranza e paura per ciò che il futuro può riservare.

Fotografia di Giulio Foderà per l'articolo ""Il mondo nuovo": Giandomenico Tiepolo e la crisi della società veneziana" di Marta Casuccio
Fotografia di Giulio Foderà

Nel 1932, quando viene dato alle stampe il celebre romanzo di fantascienza di Aldous Huxley, Il mondo nuovo, è ben presente il tema dell’avvento di una nuova società con le possibili, talvolta preoccupanti, conseguenze delle scelte progressiste.

Allude a un imminente e importante cambiamento anche l’atmosfera del grande affresco che il figlio di Giambattista TiepoloGiandomenico, tratteggia nell’opera da lui realizzata per la sua villa di campagna a Zianigo, opera che presenta il medesimo titolo del romanzo di Huxley. 

Mondo Novo di Tiepolo rappresenta una scena che nelle piazze di Venezia poteva verificarsi alla fine del ‘700. La folla raffigurata in primo piano nel dipinto aspetta il suo turno per vedere le immagini di un cosmorama, un dispositivo ottico, un insieme di pannelli, specchi e proiezioni che consentiva di immergersi, guardando attraverso una piccola fessura, dentro un paesaggio esotico.

Il tema rappresentato è, quindi, anche la grande illusione di aprirsi a nuovi orizzonti e la volontà di lasciarsi indietro il presente, con le difficoltà del momento, e il passato, glorioso ma ormai lontano, con la speranza di guardare, in modo curioso e giocoso, a un nuovo futuro. Eppure, sono in tanti a cogliere in quell’affresco di Giandomenico Tiepolo il segno di una paura del futuro, di una consapevolezza del declino della Repubblica della Serenissima che, difatti, di lì a poco tempo, nel 1797, sarebbe passata, per volontà di Napoleone Bonaparte, in mano austriaca. 

Ci si trova alla fine del Settecento, esattamente nel 1791; è appena morto il padre, il grande Giambattista Tiepolo ed il figlio, che lo ha seguito in giro per l’Europa, torna a Venezia in cerca di una propria identità, libera dall’influenza per certi versi ingombrante del padre. Decide, allora, di dedicarsi alla pittura senza una committenza esterna e dipinge, in piena libertà e senza condizionamenti, le mura della sua casa di campagna, dove si stabilisce. Non più, quindi, soggetti mitologici, dei o eroi, ambientazioni raffinate e piene di ricci e fronzoli, ma scene di vita quotidiana e cittadina con protagonisti che raccontano una narrazione spontanea.

Nel ciclo di affreschi al quale appartiene Il mondo novo l’artista ripropone temi già esaminati in giovinezza nella foresteria della villa Valmarana a Vicenza, dove aveva lavorato insieme al padre. Il risultato però è molto differente perché diverso è il pittore, che osserva adesso i fatti della sua città e del mondo circostante con occhio più maturo e con una certa dose di ironia.   

Nel Mondo Novo una serie di personaggi ritratti di spalle, richiamati dal ciarlatano attorno al casotto della cosiddetta lanterna magica, attende di guardare quelle immagini esotiche che lo spettatore dell’opera non vede, nascoste come sono, sia dalla folla in primo piano che dalla palizzata e dallo stesso casotto con torretta e gonfaloni in secondo piano.  

L’affresco ha una forma monumentale e ha un forte impatto scenico su chi lo guarda, impatto che potremmo definire “cinematografico”, costituendo, quindi, una delle più ironiche e teatrali messe in scena della società italiana della fine del secolo XVIII. Mostrando i personaggi quasi tutti di spalle, Giandomenico opera un capovolgimento della concezione classica della rappresentazione: la scena non si mostra allo spettatore, ma paradossalmente si nega al suo sguardo. Il soggetto rappresentato non è un’immagine determinata, ma qualcuno che a sua volta guarda qualcos’altro, come detto, non visibile agli spettatori. 

La folla è variegata: ci sono soggetti di ogni età e condizione sociale. Possiamo riconoscere popolani, nobili e borghesi, uomini e donne, in abbigliamento formale, con ampie gonne, cappelli, redingote, ma anche in abbigliamento da lavoro o modesto. Ci sono persone giovani e meno giovani: a sinistra quel Pulcinella cui il Tiepolo avrebbe dedicato un’intera famosa stanza del suo palazzo, metafora della maschera come libertà dall’ipocrisia; al centro un bambino vestito di bianco, l’unico raffigurato frontalmente, forse un simbolo del futuro; infine, in mezzo alla folla, due soggetti di profilo riconoscibili come gli stessi Tiepolopadre e figlio. Il primo osserva la scena a braccia conserte e con l’aria distaccata (forse perché ormai deceduto e quindi assurto ad un’aura evanescente, scevra dalle beghe terrene), il secondo, l’autore, sbircia con l’occhialino, probabilmente evocando quella giusta dose di curiosità per la sorte della sua città che Giandomenico aveva, seppure consapevole delle forti criticità dal punto di vista storico ed economico, della Repubblica veneziana. Del resto, è in crisi l’intero mondo perché la Rivoluzione francese ha creato nuove aspirazioni e sgretolato vecchie certezze.

Si nota un profondo cambio di passo rispetto alle pitture della sua giovinezza: le figure raffigurate intorno alla baracca del Mondo Nuovo adesso si confondono nella calca e diventano una massa indeterminata dominata dalla figura dell’imbonitore che li invita a guardare dentro la lanterna magica, a fuggire dal quotidiano per cercare evasioni esotiche. 

Quello dell’autore, in conclusione, è uno sguardo lucido sulla condizione presente, una metafora della sorte dei tempi, con un’ironia amara dell’umanità del tempo ignara delle tempeste di fine secolo. Seppure si tratti di un’illusione, di una lanterna magica, il Mondo nuovo potrebbe essere alle porte e magari potrebbe evocarlo quello sfondo lagunare azzurro che simbolicamente il bambino al centro del murale forse è l’unico ad intravedere.

Marta Casuccio

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