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Un uomo e la sua ossessione

Fotografia di Filippo Ilderico

Un libro appeso ad un filo logorato dalle forze naturali. Un professore logorato dalla propria ossessione. Il ready made malheureux (1919) di Duchamp diviene il parallelo simbolico del disfacimento di un personaggio di Roberto Bolaño nel suo ultimo romanzo, 2666 (2004).

La preoccupazione di un padre per la sorte della figlia in una città in cui ogni anno centinaia di donne vengono uccise, il senso di colpa di averla portata in quel luogo d’orrore spingono il professore di filosofia Oscar Amalfitano, protagonista della seconda parte di 2666, verso un’ossessione sempre più presente. Un rumore, il rumore del motore di una macchina – un’auto nera con i vetri fumé che però non riesce a vedere – gli invade la mente ogni qual volta la figlia Rosa esce di casa. Così Roberto Bolaño mostra la visione di un padre di fronte all’orrore.

Amalfitano appare come un uomo sempre più logorato: sull’orlo di un crollo nervoso comincia a sentire una voce, a temere di essere pazzo. D’altra parte egli diviene il tramite per uno degli attacchi dell’autore al panorama letterario messicano. Amalfitano guarda lucidamente ad esso: gli artisti messicani hanno perso la loro ombra e con essa il senso della realtà. In una sorta di mito della caverna al contrario, dove gli intellettuali, invece di essere legati all’interno della caverna e non poter guardare al di fuori, non riescono a vedere oltre la bocca della miniera, egli ne definisce la cecità. A causa della perdita della propria ombra gli intellettuali messicani «[u]sano la retorica quando si intuisce un uragano, cercano di essere eloquenti quando presagiscono la furia scatenata, tentano di rispettare la metrica quando c’è solo un silenzio assordante e vano. Dicono pio pio, bau bau, miao miao, perché sono incapaci di immaginare un animale di proporzioni colossali o l’assenza dell’animale» [1].

Per evitare di incappare nella loro stessa sorte Amalfitano avvia uno strano esperimento: appende un libro, il Testamento geométrico di Dieste, ad un filo in giardino «per vedere come resiste alle intemperie, agli attacchi di questa natura desertica» [2]. L’idea è ripresa da un’opera di Marcel Duchamp: il ready made malheureux. È il 1919. In occasione del matrimonio della sorella Suzanne l’artista le invia le istruzioni per realizzare questo ready made. Si tratta di appendere un libro di geometria a dei fili sul balcone parigino in cui la sorella abita con il nuovo marito: in questo modo il vento potrà sfogliarne le pagine, soffermarsi su un problema specifico. Il libro è esposto alle forze naturali.

In 2666 il libro di Dieste appeso in giardino si logora per effetto degli elementi così come il suo corrispettivo reale, di cui sopravvive soltanto un quadro realizzato da Suzanne nel 1920. Nel romanzo però la metamorfosi non riguarda soltanto il libro: destinato a subire le intemperie della natura desertica di Santa Teresa e ad esserne man mano consumato, la sua sorte è parallela a quella di Amalfitano, via via corroso dall’orrore della città. Il ready made sembra dunque lo specchio di Amalfitano che finirà per essere visto «come un naufrago, un tipo vestito in modo trascurato, un professore inesistente di un’università inesistente, il soldato semplice di una battaglia perduta in anticipo contro la barbarie» [3].

Allo stesso tempo però in questo parallelo disfacimento il libro appare come un elemento totemico: l’unica ancora che, con la propria ombra rassicurante, impedisce al professore di perdere il senso della realtà, di sprofondare nell’orrore.

Elena Sofia Ricci


[1] Roberto Bolaño, 2666, Milano, Adelphi Edizioni, 2008, p. 141-142.
[2] Ivi, p. 213.
[3] Ivi, p. 133.

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