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L’enigma delle scimmie a Palazzo Te

Nella maestosa “Sala dei Giganti” (1532-35) a Palazzo Te, che illustra il mito della scalata dell’Olimpo raccontato da Ovidio nelle sue Metamorfosi, Giulio Romano dipinge, nella parte inferiore delle pareti, tra le rocce e i corpi caduti dei giganti, delle piccole scimmie che, aggirandosi curiosamente tra le macerie, hanno suscitato negli studiosi i più svariati interrogativi sul perché della loro presenza.

Tra il 1524 e il 1534 Federico II Gonzaga commissiona a Giulio Romano «un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso» [1] e così nel bosco del Tejeto, il “Tiglieto” (da qui il nome abbreviato di “Palazzo Te”), nasce la residenza di svago di Federico e della sua amante Isabella Boschetti, interamente decorata con scene della mitologia olimpica, paesaggi fantastici e vegetazioni lussureggianti.

Il fulcro centrale del programma iconografico è la “Sala dei Giganti”, la cui complessa decorazione pittorica si sviluppa dalle pareti fino al soffitto, con una soluzione di continuità spaziale tale che risulta difficile scorgere l’architettura della sala: gli angoli del soffitto e delle pareti sembrano sparire in uno spazio illusionistico a 360 gradi, creato dal pennello di Giulio Romano; «E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso» [2].

Secondo quanto narra Ovidio [3] i Giganti, figli di Gea, la madre-Terra, stanchi del potere di Giove sulle cose terrene, si radunarono in Tessaglia per scalare il monte Olimpo e spodestare il dio che dall’alto li governava. Ammassate tutte le rocce dei monti Pelio e Ossa per creare un’immensa scala, iniziarono la disperata ascesa; quasi arrivati all’Olimpo, però, furono puniti dagli dei, capeggiati da Giove, che li ricacciarono sulla terra. Durante la rovinosa battaglia i giganti precipitarono, quindi, insieme a un enorme ammasso di rocce fino alle profondità vulcaniche.
Ovidio racconta inoltre che, nella caduta dei grandi corpi travolti dai massi, la madre-Terra s’inzuppò del sangue dei suoi figli e, mentre esso era ancora caldo, lo rianimò dando vita alla stirpe umana, che per questo motivo condivide il carattere bellicoso dei giganti; questa la metamorfosi racchiusa nel mito che Giulio Romano e gli uomini del Cinquecento trasformeranno a loro volta.

Le Metamorfosi di Ovidio, infatti, nel Cinquecento non erano lette sul testo originale latino: esse, come quasi tutte le opere classiche, venivano fruite in traduzioni volgari arricchite di glosse e commenti moraleggianti, che filtravano la diretta percezione del testo originale.
Una delle traduzioni in volgare di maggior successo all’epoca era quella, a stampa e illustrata, di Niccolò degli Agostini, dietro la quale si nasconde il curioso errore di traduzione che porta Giulio Romano a dipingere le scimmie nella Sala dei Giganti a Palazzo Te.

Ad accorgersi del fraintendimento è uno studioso di Marburg, Bodo Guthmüller, che nota come, laddove Ovidio scrive che dal sangue dei giganti scaturiscono uomini, Niccolò degli Agostini interpreta quelle “figure dall’aspetto umano” come scimmie, in quanto le creature terrestri nell’aspetto più simili all’uomo [4].

L’errore interpretativo era a tal punto diffuso e consolidato all’epoca che non solo aveva dato vita al suggestivo scenario pittorico di Palazzo Te ma su di esso si fondava anche la credenza che le scimmie fossero creature infernali nate dal sangue dei giganti.

Attraverso la sua pittura, Giulio Romano non solo testimonia le credenze e gli usi di una società ma dona memoria eterna a un’interpretazione nuova di Ovidio, senza la quale non sarebbe stata possibile una visione pittorica così suggestiva ed enigmatica. È grazie alla continua metamorfosi della lingua, dei testi e della materia mitologica che la narrazione antica acquista in ogni epoca nuovo vigore poetico e forza incisiva. Ed è poi la pittura “manierista”, con il suo forte impatto, a terminare il processo. Questo repertorio “grottesco”, in cui personaggi mitologici, animali fantastici, vegetazione e paesaggi di fantasia e a volte di natura bizzarra convivono negli stessi scenari, diviene infatti presto anche una delle maggiori tendenze decorative dell’epoca.

Anna Nicolini


[1] Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1550, Rusconi, 2009
[2] Ibidem
[3] Ovidio, Metamorfosi I, 151-162
[4] B. Guthmüller, Ovidübersetzungen und Mythologische Malerei. Bemerkungen zur Sala dei Giganti Giulio Romanos, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz XXI, 1977, pp. 35-68

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