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Rosso Malpelo, ragazzo di vita

Rosso Malpelo, novella di Verga pubblicata definitivamente nel 1897, è uno straziante racconto di sfruttamento, violenza e disumanizzazione sul posto di lavoro. Ma quanto si deve alla fantasia autoriale e quanto invece è cronaca di una società spietata?

Disegno di Rosso Malpelo
Disegno di Elena Sofia Ricci

«Rosso Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo…» inizia così, diritta al punto, forse la più celebre tra le novelle di Verga, Rosso Malpelo. Pubblicato per la prima volta nell’agosto del 1879 sulla rivista Fanfulla della Domenica, il racconto breve è rimaneggiato dall’autore stesso per quasi dieci anni: la forma definitiva arrivò solo nel 1897. Si immagina, infatti, che per l’autore non fosse stato semplice arrivare ad un così deciso punto di svolta – e si sa bene che, d’altra parte, i cambiamenti richiedono il loro tempo.

Con Rosso Malpelo, Verga riusciva finalmente ad abbracciare in maniera completa e matura la tecnica dell’impersonalità, su cui aveva più volte vagheggiato. Il fatto deve presentarsi da sé, come svolgendosi sotto gli occhi del lettore, tramutato adesso in un attonito e inerme spettatore. L’incipit sopra riportato non è, in maniera evidente, il punto di vista di Verga, ossia di un borghese lontano da quel mondo, ma è interno all’ambiente di Malpelo. I personaggi e il loro contesto si presentano da soli, senza bisogno di intermediari. Manzoni, con le sue descrizioni roboanti e quella presenza autoriale un po’ ingombrante, non è mai stato così lontano come nella Sicilia raccontata dal Verga.

Il lettore potrebbe a questo punto chiedere cosa c’entri una nozione tanto tecnica: per quanto questa possa sembrare arida, nasconde l’animo più intimo del nostro. L’autore non può e non deve intervenire nella materia che presenta perché non ha senso farlo: la realtà non può essere cambiata; le cose sono così, lo sono sempre state: il debole soccombe, il forte prevarica. Quello di Verga è un pessimismo totale, senza alcuna forma di sollievo. Né religione né speranza laica attenua il fermo immobilismo delle sue opere. E se dunque la realtà è destinata a rimanere sempre la stessa, crudele e violenta, il giudizio correttivo non ha alcun senso d’essere.

Malpelo è sfruttato nelle cave di rena rossa, a Nord di Catania. Era sfruttato suo padre, è sfruttato anche lui; il mondo descritto nella novella è un mondo dicotomico: coloro che sfruttano, i vincitori, e gli sfruttati, i vinti. L’unico movimento possibile nella struttura novellistica concepita dal Verga è una struttura orizzontale, fatta di persone che sono in alto e persone che sono in basso. Il movimento verticale, naturalmente connesso all’evoluzione, è escluso.

E tra coloro che sono sfruttati nelle cave dai padroni, Malpelo è il più sfruttato, l’incarnazione dell’odiato e dell’escluso. Non c’è in lui nessun sentimento di rivalsa ed anzi pensa solo a calzare meglio i panni della bestia a cui l’hanno ridotto: sgraziato e cattivo, fiero di quel suo essere torvo, sporco, lacero. Malpelo è un animale, e lo dice anche l’appellativo: mal-pelo che sembra suonare come il commento che si potrebbe fare sulla pelliccia di una cane. Non è un caso che, nel raccontare, l’autore faccia più volte riferimento al mondo bestiale: l’animale più citato è l’asino, sia come termine per Malpelo e suo padre, sia pure come entità realmente esistente, il grigio. Non mancano i topi, il pulcino – che compare sempre e comunque con riferimento a Ranocchio, a sua volta il nome di un animale il gatto, che condivide con Malpelo il colore degli occhi, i pipistrelli.

Dolore e lavoro riducono i personaggi che si muovono tra le righe a non-umani, ad animali e non a carne battezzata, la tremenda espressione che lo stesso Verga usa per indicare il cadavere del padre del ragazzo, che viene trattato alla stregua di una carcassa animale.

Ma quel che è peggio è che quel che racconta Verga non è un’invenzione di fantasia. Nel dicembre del 1876, era infatti uscita Inchiesta in Sicilia di Sydney Sonnino e Leopoldo Franchetti. L’opera si chiudeva con un capitolo dedicato al lavoro nelle solfare di fanciulli sfruttati e denutriti. Qualche anno dopo, nel 1879, fu Depretis a indire un’inchiesta ministeriale per conoscere le condizioni dei ragazzi che lavoravano all’estrazione dello zolfo. Per molto tempo, infatti, l’economia dell’isola si resse sull’estrazione mineraria e la richiesta sempre crescente del neo-industrializzato occidente obbligava a lavorare a pieno ritmo.

Le condizioni di vita dei carusi, ragazzi dagli otto ai dieci anni, hanno davvero molto di quella dis-umanità di cui è vittima Malpelo. Molti sono orfani: si dorme, dal lunedì al sabato, sul luogo di lavoro. Mangiano pane, che portano da casa. Quando il pane finisce, molti di loro tornano a casa prima dell’alba per prendersene ancora un po’e ritornano sul luogo di lavoro, per non perdere la giornata.

I carichi con cui lavorano possono superare anche di molto il loro peso così che, quelli che tra loro riescono a divenire adulti, crescono storpi, malformi. Tuttavia, nonostante le condizioni disperate, le cave di Malpelo rimasero aperte e in vigore ancora molti anni: il percorso parlamentare delle proposte di legge presentate sempre nel 1879 fu piuttosto tortuoso e arrivò a conclusione solo nel 1886.

Non sappiamo di preciso in che rapporto stia la novella del Malpelo con i fatti sovraesposti, ma il compito del filologo, si sa, ha poco di certo; Verga tuttavia, con buona probabilità, dovette conoscere i fatti della sua Sicilia e rimanerne assai suggestionato. Il racconto del ragazzo che scompare nella cava di rena, incattivito da una vita bruta, non dovette sembrargli un fatto impossibile: Malpelo è davvero esistito; e non era solo.

Serena Garofalo

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