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“L’amara fragranza di questi fior, velenosa al cor mi va”

Madama Butterfly, del 1904, è un’opera divisa in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, definita “tragedia giapponese” e dedicata alla regina d’Italia Elena di Montenegro, moglie di re Vittorio Emanuele III.

Fotografia di Giulio Foderà

Di quest’opera è stato esposto nel 1904 al Teatro della Scala di Milano, in occasione della prima rappresentazione, un manifesto realizzato dal pittore Adolf Hohenstein. Il Manifesto, al cui interno sono ben in evidenza il titolo e i nomi degli autori del libretto e della musica, rappresenta bene la drammaticità dell’opera e sottolinea il suo carattere di tragedia giapponese.

Infatti, i colori del manifesto sono molto cupi: i richiami di grigio-azzurro scuro e uno sfondo marrone scuro con un gioco di ombre e luce evidenziato da un caldo giallo chiaro si mescolano a qualche tocco di rosa in rimando al fiore di ciliegio, albero tipico del Giappone che simboleggia la natura effimera della vita. Il fiore di ciliegio, infatti, viene associato all’influenza buddhista che trova espressione nel concetto mono no aware (un concetto estetico giapponese che esprime una forte partecipazione emotiva nei confronti della bellezza della natura e della vita umana, con un senso nostalgico legato all’incessante mutamento). I fiori di ciliegio nel manifesto per Madama Butterfly anticipano il tema del dramma imminente: la caducità della vita di una donna avvelenata dal suo stesso amore non corrisposto.

I due personaggi raffigurati nel manifesto di Hohenstein sono i protagonisti della tragedia giapponese. La donna che dà il titolo alla tragedia, vestita con il classico kimono giapponese di un colore azzurro spento ricamato con fiori rosso-arancio sbiaditi e con una acconciatura raccolta da un ramo di fiori di ciliegio, è molto addolorata per il figlio. In un gesto di impetuoso dolore, alza il braccio per accarezzare il bambino che si trova di fronte ma viene trattenuta da un velo azzurro-grigio che le stringe il collo. Di fronte a lei si trova il bambino seduto a terra, circondato da petali di fiori di ciliegio. Bendato e con in mano la bandiera americana, il bambino è vestito con un semplice abito lungo ricamato e delle calze bianche in richiamo alla benda sugli occhi, simbolo d’innocenza e purezza.

Quest’ultimo elemento è in forte connessione con la trama dell’opera e allude alla tragedia che incombe sul bambino: il suicidio di una madre addolorata da un amore non ricambiato nei confronti del marito che l’ha abbandonata prima ancora di conoscere suo figlio.

Infatti nel terzo atto Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti, nel dialogo con Suzuki (la serva di Madama Butterfly) riferisce di essere tornato dagli Stati Uniti, dopo essere stato via per tre anni, per poter riprendere suo figlio e portarlo con sé. Madama Butterfly, convinta che il marito sia tornato per lei, scopre che in realtà il suo ritorno è per il figlio e in un gesto estremo, dettato dal dolore di un amore non ricambiato, decide di uccidersi. Quando Pinkerton, pentito, decide di parlare con Madama Butterfly è ormai troppo tardi: la donna è già morta. Proprio a quest’ultimo passaggio allude la battuta della protagonista «L’amara fragranza di questi fior, velenosa al cor mi va», la quale evidenzia una metafora profonda: la donna, traendo linfa dal presunto amore visto come un fiore dalla fragranza purtroppo amara e che si rivelerà velenosa, è ferita dall’amato e per il suo stesso amore decide di togliersi la vita.

L’amore in quest’opera gioca con i sentimenti, con l’anima degli amati e in uno struggimento di emozioni forti provoca amore o sofferenza, piacere e dolore. Quando si ama si può provare dolore, ma avendo questa consapevolezza si può affrontare la vita con determinazione e tenacia.

Leila Ghoreifi

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